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06-03-2013 23-05-23

Quando la “Milano da bere” abbracciò la perestrojka

A gli albori della perestrojka, da giovane studiosa di letteratura italiana, lavorava nella Biblioteca di Letterature Straniere di Mosca. Ed è lì, nello spetskhran, il deposito dove languivano i libri non grati alla censura sovietica, che Elena Kostioukovitch trovò Il nome della rosa di Umberto Eco e decise di tradurlo. Il romanzo fu pubblicato nel 1988, riscuotendo uno straordinario successo e vendendo più di un milione di copie. Nata nel 1958 a Kiev da una famiglia ebrea, Elena è figlia di quell’ambiente letterario di dissidenti o semi-dissidenti sovietici a cui appartenevano anche suo nonno Leonid Volynskij, autore
di libri divulgativi di storia dell’arte, e lo scrittore Viktor Nekrasov, amico di famiglia. Dalla città di Mikhail Bulgakov alla Milano rampante degli anni ’80, quello della Kostioukovitch è stato un viaggio costante dalla non-libertà della zona sovietica alla libertà del mondo occiden tale. Dopo l’arrivo a Milano, è nata la collaborazione con lo stesso Eco, di cui è tutt’ora la traduttrice russa “ufficiale”. A questa attività affianca l’impegno per l’agenzia letteraria che
ha avviato a Milano, città dove abita da ormai ventisei anni. E ora debutta come scrittrice di narrativa. Il suo primo romanzo, Zwinger, sarà pubblicato sia in italiano che in russo. Lei è emigrata dall’URSS a Milano nel 1988.

Che ricordo ha della “Milano da bere”?
La “Milano da bere” è stata una con tinuazione della “Dolce vita”. Lo svi luppo milanese del mito romano era fondato sulla corruzione, c’erano incredi bili sprechi di rappresentanza, in cui però, a volte, si riusciva a instillare qualcosa di buono. Quando sono arrivata a Milano ho trovato un’incredibile fioritura di festival letterari che andavano di pari passo con la
perestrojka in Unione Sovietica. Ho subito iniziato a curare libri, organizzare festival e invitare grandi studiosi russi a tenere lezioni in Italia. Mi rendevo conto della vera sostanza del partito socialista e l’ho sempre criticato, ma in prima battuta credevo che fosse davvero disponibile a fare tanto perché due mondi artistici, quello russo e quello italiano, si riavvicinassero.

Quali erano i progetti italo-russi che ha seguito in quel periodo?
Una delle proposte che mi sono arri vate proveniva dalla famiglia De Michelis. All’epoca Gianni, fratello di Cesare, presidente della casa editrice veneziana Marsilio, era un potentissimo ministro socialista. La Marsilio mi ha proposto di creare una
joint venture con l’autorevole casa editrice sovietica Nauka. Il progetto non è andato in porto, ma l’avevo pianificato nei minimi dettagli. La casa editrice che doveva nascere avrebbe abbinato le potenzialità italiane, compresa la magnifica arte poligrafica, ai migliori contenuti russi. La “Milano da bere” alimentava in continuazione nuove iniziative. La prima che ho realizza to è stata un’antologia della narrativa russa comparsa in quegli anni sulle riviste della perestrojka, ovvero il volume intitolato Narratori russi contemporanei (Bompiani, 1990). Un altro libro che ho curato in quel periodo è stato Le radici dell’arte russa (Fabbri, 1991), in cui ho messo insieme alcuni scritti dell’accademico Dmitrij Likhachev, che in Unione Sovietica era considerato una sorta di “coscienza della nazione” per le sue prese di posizione sulle questioni civili. Per quel libro Likhachev è stato insignito della cittadinanza onoraria di Milano. Dal 1988 ha curato le collane russe perla casa editrice Bompiani, con cui continua la collaborazione, e dal ’96 anche per Frassinelli e Sperling&Kupfer.

Com’è cambiata l’editoria milanese nel corso di questi anni?
Quando sono arrivata a Milano hoavuto la fortuna di conoscere alcuni editori come Giulio Einaudi e Livio Garzanti. La Bompiani, anche se non apparteneva più al vecchio proprietario, ha mantenuto il suo carattere famigliare, che si basava prima sui gusti dello stesso conte Bompiani e poi di persone come Umberto Eco e Mario Andreose. Le case editrici, all’epoca, erano aziende di famiglia che facevano capo a una grande e potente figura che decideva la linea da seguire e che on aveva paura di rischiare. Garzanti si era messo in testa di pubblicarele Fiabe russe proibite di Afanasjev (Garzanti, 1992). Ora nessuno comprerebbe un libro del genere, ma all’epoca andava a ruba perché ogni casa editrice aveva un suo volto per sonale inconfondibile. Oggi sono diventate grandi aziende che trattano i libri come se fossero un prodotto qualsiasi, ed è questo il motivo per cui stiamo vivendo una crisi dell’editoria senza precedenti. Lei stessa pero è autrice del pluripremiato volume
Perché agli italiani piace parlare del cibo (Sperling&Kupfer, 2006). Nel libro abbozza dei ritratti delle regioni italiane viste attraverso le loro tradizioni gastronomiche.

Sotto questo aspetto come vede i milanesi?
Ci sono due capostipiti su cui si regge la società milanese: la borghesia, quella vera, seria e rigorosa, non radical chic, e il popolo operaio dai vari mestieri. Ad accomunarli però, a sorpresa, sono i ritmi dei pasti che scandiscono la giornata. A Milano e in Lombardia si mangia in anticipo rispetto ad altre regioni, perché si va a letto prima e si inizia a lavorare prima. Tipicamente milanese è anche la cultura della schiscetta. Prima la portavano con sé sia un operaio sulla gru, sia un banchiere che non voleva perdere tempo, adesso è tutto cambiato e la pausa pranzo dura di più rispetto a una volta. Di recente ha consegnato in casa editrice il suo primo libro di narrativa, il romanzo Zwinger, ambientato in parte anche a Milano.

Ci può fare qualche anticipazione?
Zwinger è il nome del palazzo di Dresda che ospita la celebre pinacoteca. Nel ’43 i tedeschi avevano portato via i quadri, nascondendoli, per salvarli dai bombardamenti degli Alleati. Nell’aprile del ’45 mio nonno si trovava lì con l’Armata Rossa. Ha guidato una squadra di sminatori alla ricerca del tesoro nascosto. Nel romanzo è il nonno del protagonista a salvare i quadri di Dresda. Il nipote, un esponente dell’intellighenzia russa emigrato a Milano, si trova invischiato nelle indagini legate al salvataggio delle opere. Nel libro viene ripresa anche la questione degli immigrati ucraini a Milano, dove la comunità supera le centomila persone. Il romanzo come genere letterario è nato per trasmettere sentimenti soggettivi; le cronache invece narravano i fatti storici in maniera secca e distaccata; il romanzo moderno dopo Tolstoj e anche nei giorni nostri ha l’ambizione di unire queste due visioni della realtà.

di Anna Lesnevskaya
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