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"I niet che portarono al cambiamento"

28 maggio 2012

Gabriella Persiani, dall'edizione cartacea di Russia Oggi

Elena Kostioukovitch, traduttrice in russo dei romanzi di Umberto Eco, e il suo amore per la letteratura, chiave di volta anche delle rivoluzioni moderne. Ecco l'intervista integrale, pubblicata in versione ridotta sul mensile Russia Oggi
"I niet che portarono al cambiamento"


Foto: Simone Cerio/Parallelozero

Il gusto del proibito, leva del cambiamento. Lo sa bene la scrittrice Elena Kostioukovitch, nata a Kiev nel 1958, vissuta a Mosca e da oltre venti anni in Italia, traduttrice in russo di Umberto Eco. A convincerla di ciò proprio la lettura in italiano de “Il nome della rosa” e la suggestione di quell’impenetrabile biblioteca dell’abbazia che custodiva l’unico manoscritto della “Poetica” di Aristotele sulla commedia.

La giovane Kostioukovitch doveva ritrovarsi in quelle pagine di Eco, che, per iniziativa personale, aveva iniziato a tradurre in russo, approfittando dell’accesso, a pochi eletti consentito, al reparto dei libri occidentali (all’epoca taboo) nel Dipartimento della Letteratura Mondiale dell’Accademia delle Scienze dell’Urss a Mosca. Una sfida vinta: tre anni di lavoro per far conoscere Eco in Unione Sovietica, con due milioni di copie vendute e il pienone registrato a ogni sua presentazione. In mezzo, la perestrojka. E oggi, Roberto Saviano e l’arrivo in Italia di Ludmila Ulitsaskaya e Boris Akunin.

Quanto piace la letteratura russa contemporanea in Italia?

L’interesse profondo degli italiani si basa sui classici russi, Dostoevskij e Tolstoj, in una parola Tolstoevskij. Da ciò è poi nata l’attenzione per il periodo sovietico. Ma la nuova letteratura russa parla molto poco, quasi niente, del mito russo di allora e i suoi temi fanno fatica a coinvolgere gli italiani. Per questo, da 25 anni, la mia attività è convincere prima di tutto l’editore che il tal libro può vendere e fare la fortuna del catalogo. Tra i nomi più conosciuti oggi in Italia c’è Ludmila Ulitskaya: non è un’autrice rosa, perché trascina, dentro una costruzione romantica, temi sociali della Russia moderna, che sta vivendo l’ennesimo periodo di difficoltà di rapporto tra potere e popolo.

Ha esportato anche Boris Akunin.

Sono molto felice di questo: dietro il nome di Akunin c’è Grigory Chkhartishvili, un mio conoscente di lunga data che, sotto pseudonimo, ha iniziato a sfornare romanzi polizieschi ambientati nella vecchia Russia. Sono stata una delle prime a riconoscerlo, grazie a qualche nome-esca inserito nei suoi testi. Era il momento in cui voleva fare outing e l’Italia è stata il trampolino per l’Europa. Ma oggi c’è anche Mariam Petrosjan con “La casa del tempo sospeso”: un librone da mille pagine, edito da Salani, che piace a giovani e adulti.

Di cosa tratta?
È la storia di adolescenti che vivono in una casa per invalidi. Hanno tutti qualche problema; però, non è il taglio sociale che interessa alla scrittrice, ma piuttosto il taglio psicologico e mitologico. I protagonisti creano una loro vita piena di storie, di amori, litigi, lotte e danno a tutto una specie di dimensione fiabesca. Questa vagamente può ricordare “Il signore delle mosche”di Golding, ma è molto diverso. Aprendo questo libro non si chiude più: i temi sono universali. Perché gli adolescenti hanno la tendenza di sbarrare le porte al mondo degli adulti e hanno voglia di creare una propria dimensione.


Foto: Simone Cerio/Parallelozero

Un altro libro che ha avuto grande successo in Italia è “Metro 2033” di Dmitri Glukhovsky. Come se lo spiega?

La lotta del bene contro il male funziona da sempre nella letteratura mondiale. Certo, anche se stavolta viene presentata sotto un'altra salsa, conta, però, il messaggio morale che il libro di Glukhovsky ha.

Non dimentichiamo, però, Umberto Eco.

I romanzi di Eco sono parabole del sapere e della libertà: ciò spiega il loro successo planetario. Il lettore russo è interessato alla globalità del suo pensiero e io sono fiera di averlo fatto amare a milioni di connazionali. Quando ho iniziato a tradurre “Il nome della rosa” non avevo nessun contratto, ma avevo la piena convinzione che il libro non sarebbe mai uscito in Urss. Parlo del 1983 e la Russia era un Paese chiuso e contrario al messaggio di libertà che portava il libro di Eco fin dall’incipit: “Scrivo questo a Praga; in questa povera città sta entrando l’Armata Rossa”. Una frase che poteva costare la prigione. Poi, con la perestrojka, sono riuscita a convincere un coraggioso editore, che ha fatto poi la sua fortuna vendendo due milioni di copie. Il romanzo fu pubblicato ad agosto 1988, nel Ventennale dei fatti di Praga. Nelle manifestazioni di piazza a Mosca, gli intellettuali mostravano la prima pagina del libro: per la prima volta si poteva parlare di quelle vicende. Ecco come ha funzionato Eco in Russia in senso politico-ideologico.

Neanche l’autore l’avrebbe detto.

Raccontai a Eco l’episodio; rimase a bocca aperta: non si aspettava di essere un modello di letteratura sovversiva in Urss. Dieci anni dopo, quando ha fatto il giro della Russia per le presentazioni in sale sempre piene, aveva bisogno dell’intervento della polizia a cavallo per riuscire a entrare nelle biblioteche dove era atteso.


Foto: Simone Cerio/Parallelozero

Altri aneddoti da raccontarci su Eco?

Tre anni fa abbiamo fatto un viaggio in Estonia, perché aveva grande desiderio di conoscere i luoghi di Yuri Lotman, uno scrittore russo emigrato a Tallin, malvisto dal regime, che Eco aveva conosciuto nel 1962 e che mi aveva chiamato dopo l’uscita de “Il nome della rosa” in russo per scrivere la prefazione alla seconda edizione. Ma alla fine del viaggio solo un sorriso amaro: nulla dell’eredità letteraria di Lotman si era conservato fino ai giorni nostri.

Da "I Promessi Sposi" a Saviano, passando per Moravia, tutti in Russia grazie a lei.

Non è stato facile riproporre in Russia “I Promessi Sposi”. Il primo traduttore degli anni ’30 era stato vittima delle purghe staliniane e la sua traduzione, proibita, era stata ripresa con dei cambiamenti dal censore del Kgb per l’Italia che lo aveva fatto incarcerare. Dopo tante lotte a me è stato concesso di scrivere un commento al libro che contestasse la traduzione. Fu difficile anche esportare Moravia, per non parlare di Maltese. Oggi Saviano è arrivato in Russia attraverso la mia agenzia. Un’altra soddisfazione.

Ma la letteratura oggi è ancora proibita?

Non si può dire “proibita”. Ma succede, per esempio, che nessuno ha vietato di stampare in Russia il libro di Mikhail Khodorkovsky, co-proprietario dell’ex colosso petrolifero Yukos ora in prigione, eppure l’editore non ha trovato librai in Russia disposti ad acquistarlo. Così il libro delle lettere dal carcere a Akunin e Ulitskaya si può leggere in Italia, perché edito da Marsilio, “La mia lotta per la libertà”, e nel resto d’Europa, ma non in Russia. Certo, su Internet chi vuole può acquistarlo direttamente dalla casa editrice, ma è paradossale come i meccanismi del mercato possano essere messi al servizio dell’ideologia, anche se non c’è più un vecchio burocrate che dà il permesso alla stampa o impone la distruzione del libro.

Sente di avere avuto un ruolo nella perestrojka?

Non in prima persona, ma certamente il mio lavoro e quello di altri intellettuali in quei tempi, impegnati nella rivista "Sovremennaya khudozhestvennaya literatura za rubezhom" (Letteratura contemporanea all’estero), molto diffusa non solo fra addetti ai lavori, ha influito su Gorbaciov, travolto dal nostro entusiasmo, e ha contribuito alla formazione di una nuova mentalità. Certamente, riconosco, che una minuscola parte l’ha fatta anche questa pubblicazione, ma anche la traduzione del romanzo di Eco. Così come tutti i nostri piccoli pezzi che riuscivamo a inserire in una rivista, in un giornale quando ancora era proibito. D’altronde la perestroyka come è cominciata? Dalla letteratura; quando sul primo, secondo, terzo giornale sono apparsi dapprima solo i nomi proibiti, senza neanche il titolo del romanzo. In un discorso complesso, a un tratto, appariva un nome tra due virgole, per esempio: "anche lui". Ed era magari il nome di quel poeta che non si poteva nominare. Questo era il lavoro di noi specialisti di cultura, i critici: abbiamo iniziato prima degli scrittori che non avevano spazio di pubblicazione. Noi riuscivamo a fare in tempo utile il nostro piccolo lavoro di nominare, citare, spiegare e scappare, aspettando le conseguenze. Questo era il 1983; la perestrojka è iniziata nel 1985.

Internet ha rivoluzionato la letteratura?

Oggi si pubblica tutto, anche senza permesso, in tempo reale. Basta avere una connessione. Questo è un enorme regalo che ho avuto dalla vita: la mia generazione è nata in un mondo completamente chiuso e poi è arrivata a vivere in un mondo completamente aperto, non dico libero, ma se vogliamo questa è anche libertà di pensiero, di spostamento. Sono nata a Kiev nel 1958 e fino al 1968, quando io e la mia famiglia ci siamo trasferiti a Mosca, la Russia viveva in una chiusura totale e l’estero non esisteva. Poi arrivavano notizie dai soldati che stavano cercando di invadere l’Europa: questa era un’apertura, ma di forza, violenta. A noi comunque non ci davano i passaporti né i permessi di viaggiare. E ricordo i miei studi di italiano all’Università di Mosca dal 1975 al 1980, senza essere minimamente a contatto con gli italiani, senza nessuna speranza di studiare in Italia, con i libri che arrivavano con il contagocce. Ho aspettato mesi per la mia tesi di dottorato. Tutto questo era il controllo del potere sull’informazione a cui ero abituata. Ed ero abituata a lottare contro. Forse è per questo che poi ho dedicato tutta la mia vita all’attività di promozione dell’informazione, cercando sempre di superare le barriere e di spiegare agli italiani cosa succede in Russia e ai russi cosa succede in Italia. La mia attività non ha più questa importanza come all’inizio, quando non c’era Internet. Però, sa, Internet è enorme e c’è bisogno sempre di qualcuno che spieghi, almeno a chi lo chiede. Perché è facile anche perdersi. Adesso prendono grande importanza personaggi che hanno sì credibilità magari basata su quello che hanno già fatto e il modo di comunicare è abbastanza semplice e convincente e la preparazione sufficiente per poter dire qualcosa di nuovo. Allora questi personaggi sono quelli che noi cerchiamo, consultando siti sicuri dove sappiamo di avere qualche dritta e, cliccando cliccando, si sonda tutto lo spazio virtuale.

Il Web, quindi, l’aiuta nella scoperta di nuovi autori?

La Rete è piuttosto il mio mezzo di comunicazione con una vastissima categoria di lettori qualificati, di coloro che magari diventano editori e traduttori che per propria iniziativa in Russia traducono e anche pubblicano in Rete. È un sottobosco enorme che gli editori devono selezionare. Nel mio caso gli scrittori mandano direttamente all’attenzione della mia agenzia dattiloscritti inediti. Se magari ho già pubblicato qualcosa su un tema, allora mi inviano sullo stesso argomento altri file. Comprendo che per cominciare gli autori emergenti abbiano bisogno di qualcuno che dica: "Sì, anche io ho lavorato su questo argomento, ti capisco, sei bravo ma qui dovresti approfondire alcuni punti". Questa è un’attività che è completamente volontaria e gratuita: comunichiamo con chi si propone anche se non diventerà uno scrittore di professione.

Lei, però, è anche scrittrice. Ha avuto un grande successo il suo libro dedicato alla cucina italiana: "Perchè agli italiani piace parlare del cibo" (Sperling&Kupfer, 2006), pubblicato in 15 Paesi. Oggi dimostra anche grande attenzione nei suoi studi per la storia dell’immigrazione ucraina in Italia. Cos'altro bolle in pentola?

Al momento ho concluso un nuovo libro “Zwinger”, un romanzo che racconta una storia internazionale tra l’Italia e la Russia, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ai giorni nostri, perché le vite dei protagonisti si intrecciano e mi permettono di affrontare diversi mondi. La parte italiana è raccontata con gli occhi di un’immigrata ucraina. Ho parlato molto con queste donne e ho raccolto un materiale eccezionale: noi viviamo con loro gomito a gomito, sono nelle famiglie, rappresentano il welfare italiano. Il soggetto principale è Dresda: dopo il bombardamento una squadra dell’esercito russo entra nella Galleria “Zwinger” e porta al sicuro i quadri, compresa la Madonna Sistina. A capo di questa squadra c’era mio nonno che è diventato scrittore e ha scritto un libro su questo avvenimento. Questi fatti sono abbastanza conosciuti, ma io ho messo in un’altra luce tutta la storia: non più in chiave ufficiale sovietica come per forza ha dovuta raccontarla mio nonno negli anni Cinquanta; l’ho raccontata in maniera più polemica e attorno a questi eventi, dal momento ci sono alcuni fatti ancora misteriosi. Adoperando i documenti e le storie personali della mia famiglia, sono riuscita a ricostruire tutto il groviglio di avvenimenti e di soggetti tutt’attorno quella vecchia storia che rinasce ai giorni nostri. E lì c’è la parte russa, italiana e tedesca.