Letteratura russa: nascono generi nuovi, ma rimane il richiamo della memoria.
Lirica moderna, l’ermeticita cantabile
La poesia contemporanea russa nella sua espressione piu alta giunge al pub­blico italiano mediante le poesie di losif Brodskij e grazie al suo editore esclusivo, Adelphi, che ha pubblicato sette suoi libri nelle splendide traduzioni di Giovanni Buttafava e di Serena Vitale. La raccolta postuma di Brodskij, Poesie italiane, di cui lo stesso poeta era riu­scito ad abbozzare la composizione, include liriche scritte fra il 1972 e il 199$ e suona ora quasi come un testa­mento letterario, una dichiarazione darnore verso la sua "seconda patria spirituale", l'Italia. In copertina si dice: "In Italia, Brodskij entrava nel paesag­gio come la figura del donatore in una pala d'altare. E quel panorama di rovi­ne e smozzicate vestigia esaltava in lui la percezione del fondale necessario di ogni letteratura: il tempo". Le traduzio­ni sono state eseguite con un metodo non comune: i traduttori infatti hanno mantenuto la rima e rispettato la strut­tura ritmica e strofica del verso russo, con un risultato particolarmente con­sono alla genialita dell'originale.
Urica moderna, l'ermeticita cantabile
Amico di Brodskij, anche lui di Lenin­grado (Pietroburgo), Aleksandr Kusner e pieno della stessa musicalita del suo piu rinomato compagno d'esordi. L'ha detto lo stesso Josif Brodskij, nell'introduzio­ne al libro di Kusner: "Aleksandr Kusner e uno dei massimi poeti lirici russi del ventesimo secolo e il suo nome e desti­nato a trovar posto nel cuore di ogni persona di lingua russa. Questo nome, al pari di colui che lo porta, soprawivera a noi e ai nostri figli e nipoti. Lo affermo non per esuberanza di sentimento personale e non in qualita di collega scrittore, ma come lettore...".
Le poesie di Kusner, tradotte in italiano in modo piu tradizionale (in versi liberi sciolti), perdono certo il confronto con la ricchezza ritmica e melodica delle rime di Brodskij, sem­brando molto piu ordinarie. Rimane cosi velato il fascino dell'armonia del verso russo, di tanto difficile resa nelle traduzioni. Di maggiore interesse e la seconda parte del volume di Kusner, dove sono uniti cinque brillanti saggi sulla letteratura, uno dei quali e di particolare interesse: quello dedicato a Anna Achmatova, che aiuta a mettere in rilievo le doti della grande poetessa piu di certi malriusciti libricini di sue poesie, come vedremo qui sotto.
In questo caso il lavoro del tradutto­re/curatore e una vera conquista di qua­lita, si avverte un notevole impegno nell'individuare le citazioni, che sovrab­bondano nel vocabolario colto di Alek­sandr Kusner (p. es. nel saggio su Puskin), anche se si colgono buffi errori nei pun­ti meno difficili (nel ragionamento sulla longevita sbuca uno strano Mafusailov, al posto di Matusalemme).
Ma comunque non si puo non ap­prezzare l'ottimo lavoro di Valeria Vajano su Kusner. Invece, se per approfon­dire la conoscenza delle opere di Anna Achmatova, che e stata l'amica anziana e precettrice letteraria di Kusner, cosi amabilmente e con tanto brio da lui descritta, il lettore si rivolge al volumetto di versi di Achmatova pubblicato dalla casa editrice San Paolo subira una forte delusione. Rimarra colpito dalla propensione dei curatori a sottolineare fatti e temi secondari trascurando quel­li piu importanti. La biografia della poetessa viene sintetizzata in una mez­za frase: "nata a Odessa, mori a Domodedovo, distretto di Mosca". Come si puo non dire nulla della citta dove Achmatova visse tutta la vita e di cui divenne simbolo: San Pietroburgo/ Petrograd/ Leningrad? Brodskij e Kusner si credevano appartenenti alla scuola pietroburghese sopratutto in quanto allievi di Anna Achmatova.
A parte tali spostamenti di accenti logici, a parte la mancanza di numero­si riferimenti storici basilari alla cor­rente a cui apparteneva Achmatova l'akmeismo nel libro compaiono er­rori veri e propri, dovuti alla scarsa conoscenza della lingua russa: "l'alta­re dove venivo a pregare" e reso dal traduttore con "il sale delle mie sup­pliche" (per la confusione tra "sol", sale, e "soleja", altare). C'e poca atten­zione per la grammatica: il traduttore trasferisce la storia del giovane uffi­ciale (p. 197) dal passato al presente, facendo pensare che "l'eroe morto" e un'altra persona, rovinando il senso di tutta la poesia. Il commento e inaffi­dabile: non chiarisce ne la genesi ne il significato deH'akmeismo e sbaglia in molti particolari, storpiando cognomi: "Nedobrov" invece di Nedobrovo, il quale d'altronde e etichettato come "amico di Blok" ma senza dire che era il compagno di vita della stessa Ach­matova. Zdanov non defini Achmato­va, come scrive il commentatore, "la santa e la strega". Zdanov l'ha bollata come "un misto tra monaca e putta­na". Sia ideologicamente che stilistica­mente e un'altra cosa, e con ben di­verse conseguenze pratiche.
"Ho smesso di sorridere Le labbra sono gelate ad una sola speranza segue piu di una canzone"
(traduzione di Gene Immediato)
"Non sorrido perche il gelido Vento mi infredda le labbra. Un'illusione di meno: Una canzone in piu
(traduzione letterale)
Dopo questa pubblicazione, l'imma­gine di Achmatova, che pure e una dei quattro o cinque maggiori poeti russi del secolo, esce intorbidita; e compro­messa la ricezione letteraria presso il pubblico italiano. Mentre un altro volumetto di Boris Pasternak, che contie­ne soltanto 33 poesie, contribuisce notevolmente ad accrescere l'amore poetico e le simpatie per questo lette­rato. La traduttrice Nadia Cicognini ha scelto quelle poesie dal ciclo che ne contiene 49 {Mia sorella la vita, ciclo scritto nel 1917 e pubblicato per la prima volta nel 1922, una specie di romanzo in versi, assolutamente genia­le, con una trama che conquista l'atten­zione e con sentimenti che struggono l'anima). Probabilmente, il volumetto ospita solo le poesie di cui la resa artistica soddisfa veramente la tradut­trice... Non possiamo che applaudire tale scelta: le traduzioni qui raccolte sono unite dalla meravigliosa caratteri­stica di essere quasi letteralmente fede­li e nello stesso tempo sembrare nate in italiano. Andando ad approfondire, controllando la resa dei difficili doppi sensi e delle numerose allusioni evangeliche e bibliche, scopriremo che la traduttrice ha ovunque rispettato la correttezza scientifica.
Peccato che la perfezione del libro scivoli la dove il controllo della tradut­trice probabilmente non giunse, e dove prima di tutto cade l'occhio: proprio sul risvolto della copertina. Li la bio­grafia del poeta viene riportata con incredibili gaffes, il titolo del romanzo diventa "©ivago". Sicuramente un com­puter avra giocato (piu di una volta sulla stessa pagina, che per giunta non e stata vista dal correttore) un brutto scherzo a un addetto ai lavori, inteso a dislocare i soliti segni diacritici, le co­siddette "pipette". Le "pipette" non ci stancheremo di ripeterlo non esisto­no nell'alfabeto russo, sono state in­ventate dai russisti universitari dell'Oc­cidente per uso interno, e non sono comprensibili al normale pubblico. Per colpa di queste "pipette" molti curatori si sentono costretti ad inserire nei libri tabelle interpretative (interpretando l'interpretazione).
La nota introduttiva alla raccolta di Pasternak e stilata in modo approssi­mativo, sbrigativo. Non e giusto dire che nel 1958 "gli viene conferito il pre­mio Nobel, ma non puo andare a rice­verlo". Pasternak, com'e noto, fu co­stretto a ripudiare pubblicamente il Nobel (lo stress vissuto in quei giorni lo uccise a distanza di due anni). Non e vero che "nelle copie clandestine del romanzo vengono inserite le sue liri­che piu mature: poesie di Jurij Zivago". La prima pubblicazione mondiale (1957) del romanzo sia in italiano che in russo non ebbe luogo clandestina­mente, bensi proprio in Italia, presso la casa editrice Feltrinelli, e le copie clan­destine erano ristampe di questo testo.
Inizio secolo, incantesimo delle sorti tutte da giocare
Achmatova e Pasternak, i maggiori scrittori della cultura russa dell'inizio del secolo, continuano a tornare alla ribalta. Ma anche la fin du siede, peri­odo massimamente ricco d'innovazioni ideologiche ed artistiche, e sempre se­guito con particolare attenzione dai russisti di tutto il mondo. Come emble­ma di quel periodo, e famoso il lungo racconto // Monaco nero di Anton Cechov, di cui il protagonista, bene­stante, giovane e di talento, vive un autentico sdoppiamento della persona­lita, diventando un'espressione para­bolica, ricca di corposita quasi sculto­rea, di molti dilemmi della storia e del­la societa russa.
Il racconto e di una forza espressiva tale che non viene guastata neppure dalla prefazione di Michele Prisco, scon­nessa, egocentrica, piena d'errori nei nomi russi, errori che si ripetono nel testo, dove inaspettatamente compaio­no accenti sbagliati: "Kovrin" (in russo il cognome del protagonista si pronun­cia Kovrin, e in ogni caso il russo non
prevede accenti sui cognomi). I patro­nimici (Semionyc) in questo libro rice­vono "in omaggio" dai curatori l'apo­strofo in coda, li dove avrebbe dovuto stare, se proprio la si vuole, la "pipet­ta". Numerosissimi i nomi traslitterati con errori: ulteriore dimostrazione che spesso per i correttori di bozze il "rus­so" e diventato sinonimo di "pieno di pipette" (senza entrare nei particolari).
Nella storia letteraria del periodo, Leonid Andreev si presenta come feno­meno non omologo a Cechov, ma for­temente contrapposto, il che rende for­zato il paragone che compare nel ri­svolto di copertina del Governatore: "Nei suoi libri egli rivela un acuto spi­rito di osservazione e capacita di pene­trazione che ricordano Cechov..." Ri­cordano casomai Dostoevskij, per as­sonanza con temi scottanti ("i demoni", il terrorismo politico), anche nel conte­sto attuale, sia russo che europeo e mondiale.
Alla base del racconto c'e un fatto storico, che e relativo ai moti rivoluzionari degli inizi del secolo: il 4 febbraio 1905 il principe Serguej Aleksandrovic, governatore generale di Mosca, cadde in un attentato dinamitardo, ordito dal rivoluzionario Kaljaev, come rappresa­glia per il massacro degli insorti, che dimostravano per le vie della metropo­li. Il governatore e un racconto perfet­to, perfetta anche la traduzione, a pre­scindere dalla inclinazione del tradut­tore a traslitterare, non traducendoli, molti nomi di oggetti della vita quoti­diana, creando in questo modo una densa atmosfera folcloristica. Sa pero di ambiguita il collocamento di questa novella, triste, razionale e per niente visionaria, nel contesto della collana "Lunari", accanto a opere come quelle di: Lewis Carroll, La caccia allo Snark; di Artur Schnitzler, Anime crepuscolari e Paracelso; di Leopold von Sacher Masoch ecc.). L'opera di Andreev evo­ca, piu che altro, motivi della Cronaca di una mone annunciata di Gabriel Garcia Marquez: ha una trama per niente mistica, non snob, ma piena di vitalita e di realismo nel migliore senso tolstoviano.
Descrivendo la situazione prerivo­luzionaria e la tragedia di chi in quel momento storico teneva le briglie del potere, Andreev infatti si colloca molto vicino a certi scritti di Lev Tolstoj, al suo racconto II giovane zar, che fa par­te del volumetto Lettere agli zar, pub­blicato da La terza. Sono questi gli spunti narrativi che mezzo secolo dopo sono serviti a nutrire il genio di Aleksandr Solzenicyn. Pur non condividendo l'idea del curatore che nel libro di Andreev "si libera l'approccio nichilista" e che "il messaggio di Tolstoj non e stato minimamente accolto da Andreev", ri­conosciamo che Tolstoj ha sempre di­chiarato che i peccati piu grandi possa­no essere espiati, mentre nella prosa di Andreev l'eroe non cerca di espiare, lui crede che con l'aldila non si puo mer­canteggiare e che un gesto lungo forse una frazione di secondo (un fazzoletto che si abbassa e che segna l'inizio del­la fucilazione di massa) e irrimediabile. La stessa disperazione risuona nella piu famosa novella di Andreev, Racconto dei sette impiccati.
Gli scritti nel volumetto di Tolstoj abbracciano lo stesso periodo storico e lo stesso panorama sociale, esprimen­do un'uguale intenzione di promuove­re, per mezzo della scrittura, cambia­menti nella societa russa, irruente e tormentata. La prefazione e troppo ac­cademica e prolissa, si tirano fuori molti argomenti, ma si offrono poche spiega­zioni. Il testo dice: "... due contadini della provincia di Samara, appartenenti alla setta dei molokane, si erano a lui rivolti per aiuto contro le persecuzioni cui erano sottoposti". La nota (non) spiega: "I molokane (dal singolare molokanin, bevitore del latte) erano una setta costituita in Russia nella se­conda meta del XVIII secolo: rifiutava­no i dogmi e gli ordini ecclesiastici della Chiesa ortodossa. Cfr. A.I. Klibanov, Storia delle sette religiose in Russia, trad. it., Firenze, 1980, pp. 223338". Altra nota: "I ducobory (combat­tenti per lo spirito) avevano origini e orientamenti simili a quelli dei molo­kane".
Non viene precisato quali erano "ori­gini e orientamenti" dei molokane, ne e minimamentespiegato cosa c'entrava con i loro concetti ideologici il latte che bevevano. Che una setta rifiuti "i dogmi e gli ordini ecclesiastici" e scon­tato: e una setta. Al lettore curioso vie­ne offerto anche un rinvio a un libro introvabile, edito a Firenze (da quale editore? Saperlo, magari si potrebbe scrivere direttamente alla casa editri­ce...) vent'anni fa. Il lettore e invitato a studiare nientemeno che centoquindici pagine semplicemente per potere andare avanti con la lettura del com­mento del piccolo libro di Tolstoj. Ma basterebbe la nota di una riga: "Duchobory (dopo il 1740) protestanti orto­dossi, eredi spirituali dei quackers in­glesi. Molokane ("bevitori di latte", dopo il 1760) seguaci dei duchobory (ma non vietano il latte durante i digiuni religiosi)".
Le figure di Lev Tolstoj e di Leonid Andreev giganteggiano sullo sfondo della societa russa del loro periodo, e questi esempi ci servono a capire di quanta importanza si rivestiva nella cultura russa il ruolo del letterato. Il letterato veniva ascoltato come un filo­sofo e quasi come un profeta. Cosi veniva accolto Vladimir Solov'ev, filo­sofo e poeta, critico acuto e combatti­vo, simbolo della sua epoca.
Pubblicando gli Scritti letterari. Sag­gi inediti di letteratura ed estetica, i cu­ratori, pero, a nostro avviso, possono creare un certo fraintendimento. Inediti in che senso? Gli scritti sono indubbia­mente conosciuti in Russia. In Italia cer­to non sono mai stati tradotti, ma diffi­cilmente ogni nuova traduzione ha il diritto di urlare "inedito!" in copertina.
In contrasto con il tono della coper­tina, la prefazione della decana degli slavisti italiani, Nina Kauchtschischwili, da l'impressione che il libro sia quasi un testo accademico. La professoressa segnala che "Per presentare al lettore italiano gli scritti estetici del filosofopoeta Solov'ev si potevano scegliere due vie: tradurre le opere teoriche come La bellezza nella natura, II significato generale dell'arte, Primi passi verso un'estetica positiva... o i saggi critici dedicati ad autori russi. Noi abbiamo dato la preferenza a quest'ultima via perche ci sembro importante offrire una scelta di questi scritti a testimonianza delle doti poliedriche e della non comune sensibilita di questo filosofopoeta".
Il pubblico italiano non so se ap­prezzera le "doti poliedriche" di So­lov'ev, visto che la sua filosofia, cosi come la sua poesia, continuano ad es­sere tuttora ignorate. La prima e per ora unica apparizione di Solov'ev ha luogo proprio in questo volume, in un'unica veste: di critico psicologo, inteso innanzitutto a fare ritratti, a po­lemizzare con miti di culto, con ovvieta scolastiche tipo "Puskin cadde vittima della congiura degli aristocratici che gli volevano male perche era un liberta­rio" (luoghi comuni che alimentano la storia della letteratura e della societa russa ormai da due secoli). I saggi di Solov'ev sono brillanti, di rapida e faci­le lettura, e captano l'attenzione quasi come un giallo intellettuale. E un libro che riesce a mettere in nuova luce le personalita forse meno conosciute e meno amate in Occidente: Puskin, Tjutcev, Lermontov.
Proprio tale spirito di proselitismo culturale ha animato tutta la vita di Michail Osorgin (pseudonimo di Michail Il'in, italofilo e bibliofilo. Perso­na di straordinaria energia e talento organizzativo, si occupava di viaggi collettivi di maestri russi in Italia, so­gnava di rendere il mito italiano piu vicino alla realta russa. Il libro (Un russo in Italia), preparato con ammire­vole accuratezza da Anastasia Pasquinelli, dedicato alla vita di Osorgin e
alla pubblicazione dei suoi scritti (di difficilissimo reperimento: dispersi sul­le pagine dei periodici di svariati Pae­si) e il quarto della collana diretta da Eridano Bazzarelli, Fausto Malcovati e Giovanna Spendel. Collana di cui i pri­mi tre libri non sono pubblicazioni di testi tradotti, ma saggi sulle donne e sulla scrittura nell'Ottocento russo, sui rapporti culturali russoitaliani, o ope­re al limite della narrativa: Alchimie, della stessa Pasquinelli. Quelli di Osor­gin sono articoli scritti nei dieci anni di sua permanenza in Italia. Sicuramente la pubblicazione di Osorgin, personag­gio il cui talento e spessore umano sono di gran lunga inferiori a quelli di Tolstoj e di Leonid Andreev, ci confer­ma una regola che riguarda la scelta recente delle opere russe da pubblica­re: si prediligono o i classici maggiori, oppure nomi semiscordati, di indiscus­so esotismo storico e letterario.
Classici evergreeen e illustri sco­nosciuti
La tendenza ad occuparsi o di gi­ganti, o di pigmei, si manifesta forte nel caso di scrittori dell'Ottocento. Ac­canto a Lermontov e Dostoevskij, sugli scaffali delle librerie in Italia dell'ulti­mo decennio si trovano nomi di micro­scopica fama (esempio: Elena Gan).
Il celebre romanzo di Michail Ler­montov, Un eroe del nostro tempo, e stato tradotto recentemente in Italia dieci volte da dieci traduttori diversi.
L'edizione einaudiana, con testo a fronte, e stata eseguita a 34 mani, nel corso del seminario per giovani tradut­tori della Scuola Europea di Traduzio­ne Letteraria (SETL) coordinato da Ljiljana Avirovie. Con tutta la buona vo­lonta, non e possibile approvare que­sto exploit collettivo, sia perche e ri­marchevole la presenza di errori, in particolar modo nella traduzione dei toponimi (mentre un lavoro di questo tipo dovrebbe essere supercontrolla
to), sia perche l'esecuzione corale al­lontana l'irripetibile stile lermontoviano, stile che invece e riuscita a rendere brillantemente Pia Pera nell'edizione di Lermontov per l'editore Frassinelli.
La traduzione di Pia Pera e colta, fluida, e interessanti sono anche le os­servazioni riportate della curatrice nel­la postfazione:una postfazione insolita, a partire dall'incipit, dove, pensando di rivolgersi a un pubblico vasto, la cura­trice inventa un estroso parallelo: Pecorin viene paragonato al Kay della Regina delle nevi di Hans Christian Andersen.
La curatrice riporta poi brani dal diario del giovane Lermontov, del suo innamoramento romantico e tragico da cui era nato il piano della vendetta di Un eroe del nostro tempo. Raccontando l'ideale convincimento, di origine ro­mantica, che esiste una strategia per manipolare i sentimenti umani, idea che scaturiva da certe letture francesi (da Choderlos de Laclos al Marchese di Sade, Histoire de Juliette), la curatrice arriva a una interessante analisi: "... In Un eroe del nostro tempo non incontria­mo sadismo corporale. Per questo bi­sogna leggere alcune opere giovanili di Lermontov... L'iniziale sadismo si stempera fino a sconfinare in crudelta mentali e manipolazione psichica". Il progetto dell'autore viene illustrato da una frase del romanzo che felicemente cita Pia Pera: "Quando Vera protesta delle sofferenze fattele patire da Pecorin, lui riflette: 'E proprio per questo che mi hai amato: le gioie si dimenticano, i dolori mai....'"
In queste parole viene dissipato un set di luoghi comuni che si trascina dalle monografie russe dei testi univer­sitari italiani: "Quello di Lermontov anima bella offesa dalle deformita del sistema sociale, assetata di giustizia e di bene, e stato un grande malinteso a partire dalla lettura di Belinskij, che, rimasto entusiasta di Lermontov, aveva interpretato Pecorin come uno spirito maturo per nuovi sentimenti e pensie
ri, troppo avanzati per un paese arre­trato come la Russia. Da allora, e per tutta l'epoca sovietica, la critica e stata pressoche unanime nel compatire in Lermontov il titano dal cuore generoso schiacciato dalla meschinita dell'epoca di Nicola I. Si voleva vedere in lui il simbolo di una generazione, quella postdecabrista, condannata a tarparsi l'anima nell'inazione. Troppo sempli­ce. Lermontov era divorato da un'altra sete, quella del bello. Il suo tormento era semmai quello dell'esteta ... che cerca sollievo nel sublime in natura..." Offrendo un commento molto libero e moderno, Pia Pera ricorre ai paragoni con opere di altre arti e tempi (con lo Schiavo d'amore di Robin Maugham, meglio conosciuto come sfondo lette­rario dell'omonimo film di Losey; con vari sceneggiati da Pinter; con il film Martha di Fassbinder ecc.), Pare un modo sicuramente efficace per rendere piu immediate le reazioni dei lettori comuni.
I romanzi di Dostoevskij occupano da vari decenni i primi posti tra le classifiche delle librerie. Sembra curio­so il fatto che, nel corso delle ultime stagioni, il centro dell'attenzione si sia spostato verso testi brevi, che possono essere o singoli racconti (Lapadrona), o addirittura parti di grandi opere: // grande inquisiture, ad es., presentato da Beniamino Placido, all'interno della collana diretta da Gianpaolo Rugarli, che ospita anche // monaco nero di Cechov, menzionato da noi poco sopra.
Come e noto, II grande inquisitore costituisce il nocciolo filosofico del romanzo I Fratelli Karamazov. Ivan, il fratello "razionale", racconta all'"emozionale" Alesa questa leggenda medie­vale, presente gia nei Carmina Burana e nelle opere di Voltaire, Goethe, Jean Paul, Balzac, Vigny, Victor Hugo: il Cristo redivivo incontra sulla terra il Gran Inquisitore di Siviglia e da lui viene sbattuto in carcere, dove l'Inquisitore lo raggiunge per iniziare un con­fronto filosofico; sara non un dialogo, ma un monologo, dove parlera solo lui, l'accusatore, incolpando Cristo di aver messo in testa agli uomini degli ideali troppo alti.
I curatori hanno scelto la vecchia, bella traduzione di Agostino Villa di Einaudi; sotto la stessa copertina il let­tore poteva trovare il celeberrimo sag­gio di Sigmund Freud, Dostoevskij e il parricidio, e anche una profonda ricer­ca su I Karamazov dello studioso russo Vladimir Laksin. Volendo, tra le altre esplorazioni di alta classe, in traduzio­ne italiana e accessibile il saggio del grande filosofo russo del XX secolo Vassilij Rosanov, dedicato proprio alla Leggenda del Grande Inquisitore (casa editrice Marietti).
II coinvolgimento di Beniamino Pla­cido in un'iniziativa di questo tipo fun­ziona efficacemente, nella misura in cui il lavoro di ermeneutica, che tradi­zionalmente veniva considerato appal­to dei critici universitari, qui si sposa con la modernita. Il filo del ragiona­mento storico del prefatore collega la filosofia di Dostoevskij a una seduta nella Camera dei Deputati del 1995, e il confronto non sembra forzato, anzi, aiuta a capire l'importanza di Dostoe­vskij per la psicologia d'oggi.
La scelta dell'altro testo di Dostoe­vskij si collega con l'interesse partico­lare verso il lato fantastico della lettera­tura russa, tipico degli anni 40 del se­colo scorso. Gia in un'altra occasione ("L'Informazione Bibliografica", n. 4, 1993) avevamo segnalato questo inte­resse, recensendo raccolte di piccole opere (I racconti fantastici russi a cura di Cario Zappi, Milano, Feltrinelli, 1992; La Diavoleria. Racconti russi di magia. Opere scelte da Alexej Remizov, Roma, E/O, 1991, e Racconti fantastici di Tourghenev, Fiabe variopinte di Vladimir Odoevskij, Venezia, Marsilio, 1992)
La padrona di Dostoevskij e uscita in italiano due volte in due anni: nel 1998 a Bologna presso la Casa editrice Re Enzo con traduzione di S. Aloe. Nel
1999 presso l'editore Marsilio. In quest'ultimo caso appare formidabile il livello della curatela effettuata da Ste­fano Garzonio e bello il lavoro della traduttrice Francesca Cori. Il commento di Garzonio, ricco e sottile, prende lo spunto dall'analisi del nome del pro­tagonista Ordyncev, ipoteticamente ri­salente all'Orda d'oro dei tartari inva­sori, per poi rivolgersi verso il cogno­me dell'altro eroe, Murin (moro) stre­gone da vecchia fiaba, che sembra uscito da una bylina russa o da un racconto folcloristico di Gogol'. Vero diletto leggere un commento del ge­nere. La pubblicazione e munita di una ricca bibliografia, che risuona ogni tanto nel testo del commento, appa­rendo piu che motivata. Perfetta, me­ravigliosa edizione.
La casa editrice Tranchida (libri se­miscordati, scritti da donne) avrebbe dovuto adottare simili criteri scientifici, tirando fuori dall'oblio storico perso­naggi che necessitano di spiegazioni. Ma la pubblicazione del romanzo L'uo­mo ideale di Elena Gan (in russo L 'ideale, difficile dire se effettivamente si tratta di una persona o di un sogno) sembra partita dall'approccio opposto. Forse i curatori hanno creduto che su un per­sonaggio talmente poco noto non ci si deve prendere la briga di controllare i particolari? La curatrice Giovanna Spen­dei non poteva evitare di sbagliare non solo il patronimico dell'autrice del li­bro (scrivendo Andreevna invece di Aleksandrovna) ma persino il suo co­gnome (non e vero che Elena Gan e pseudonimo di Senaida Rva; ma e vero l'esatto contrario)?
La George Sand russa, Elena Alek­sandrovna (sic!) Gan, madre di due figlie destinate a lasciare un notevole segno nella storia della letteratura e societa europee (una di loro divento la scrittrice Zelichovskaya; l'altra divento la celebre madame Elena Blavackaya) e stata varie volte rispolverata nel cor­so del nostro secolo, contrariamente a quel che dice la curatrice: esistono dei seri studi (Nielsen M.B., The concepi of lov e and the concepi of individuai ver­sus society in Elena A. Gan's, "Sud sveta" / "Scandoslavica", 1978; Harussi Y., Hinweis auf Elena Gan. / "Zeitschrift fur Slavische Philologie" Heidel­berg, 1981 ecc.). Il lungo racconto L 'ideale tradotto in italiano puo essere letto come una chiosa mascherata deil'Evgbenij Oneghin di Puskin, a par­tire dall'apparizione dell'eroina: "... il governatore varco solenne la soglia al braccio della sua imponente consorte, ornata di trine, fiori e piume, e di un basco color lampone chiaro..." (Tatiana appare al braccio del consorte nel basco color lampone); "La signora Holzberg porse il braccio come un automa al suo cavaliere..." (traduzione di un verso di Puskin); i nomi ripetono quelli del romanzo in versi puskiniano: Ol'ga e Evghenija. Chissa se l'ideale dell'ero­ina, quel che si rivela al di sotto delle sue aspettative romantiche, non era inteso come un vago ritratto del perso­naggio di culto quale era in quel peri­odo proprio Puskin. "La mattina, a co­lazione, Ol'ga sfogliava il giornale appena recapitato e i suoi occhi cade­vano sui versi di Anatolij o sugli elogi al suo talento; a mezzogiorno andava a fare una passeggiata e dalle vetrine dei negozi facevano continuamente capo­lino i ritratti del suo poeta, messi in vendita di recente; alle due andava in visita da alcune conoscenti e sui tavoli di tutti i salotti facevano bella mostra di se le sue composizioni, in diversi for­mati e copertine..."
Elena Gan ha conosciuto di persona numerosi poeti del suo periodo, alcuni l'hanno corteggiata e protetta, insegnan­dole il difficile mestiere dello scrittore (Senkovskij, piu degli altri; infatti, non e escluso che alcuni tratti dell'Ideale siano suoi), qualcuno l'ha delusa. "Il carattere di Anatolij stonava vistosa­mente con i sentimenti che egli espri­meva nelle sue opere: infuocato e su­blime nei suoi versi, nella realta egli era una persona come tante, assetato di piaceri, irruente con gli amici e dissoluto con le donne". Il racconto, testi­monianza insolita della vita nell'am­biente d'epoca colto e creativo, non manchera di incuriosire e rallegrare il lettore che lo leggera tutto d'un fiato.
Celebrita decantate e novita disin­cantate
La valigia e il terzo libro di Dovlatov pubblicato dalla Sellerie dopo Com­promesso (1996) e Straniera (1999).
Sergej Dovlatov, nato in un ambien­te di gente di spettacolo, "dopo una giovinezza anarcoide e dissipata" (come dice il risvolto di copertina), divento giornalista. Ma a causa delle restrizioni della censura sovietica, emigro negli USA nel 1979, dove ha pubblicato due o tre libri di racconti ed e morto giova­ne. "Dovlatov racconta sempre di pic­coli episodi quotidiani, dai quali trae, mescolando il grottesco della vita con una bizzarra filosofia dei suoi perso­naggi (il piu delle volte persone drop out che si arrangiano a vivere in Ame­rica come vivevano in Russia), pessimistiche lezioni. Nella Valigia Dovlatov raccoglie tutti gli oggetti che intende­va, esule, portare via da Leningrado; a ogni oggetto corrisponde un episodio e un personaggio della sua vita vaga­bonda. Pensai: 'ma davvero e tutto qui? E risposi: si, e tutto qui'".
Notiamo subito che la traduzione, stilisticamente non stonata, contiene forti sviste (il fratello dell'autore, Boris, vie­ne sempre chiamato cugino; l'eroe, che e poverissimo, chiede nell'originale al doganiere con fine ironia: "Come faro ad esportare tutta la mia collezio­ne di automobili da corsa"? Rovinando l'effetto Dovlatov, la traduzione dice: "Come si fa... con la mia collezione di automobiline da corsa?")
C'e da rimproverare anche il risvol­to di copertina. Infatti, la prima frase dice: "Leggendo e rileggendo Dovla­tov viene in mente Cechov, hanno os­servato i critici di questo scrittore ebreo russo prematuramente scomparso in esilio..." "I critici", se veramente dico­no cose del genere, amano le battute facili. Si puo certo sempre affermare che chi scrive racconti brevi in russo fa venire in mente Cechov, un classico proprio dello stesso genere letterario. Ma l'autoironia e sopratutto l'autobiografismo di Dpvlatov fanno di lui un autore che a Cechov non assomiglia. Per quel che riguarda il riferimento all'"ebreo", nel contesto russo e un tema che non tollera pressappochismo e non riguarda unicamente Dovlatov. Questo tema interessa un largo numero di per­sonaggi della cultura russa, da Pasternak a Mandel'stam, da Grossman a Brodskij (e, nel contesto della presente rassegna, Izrail' Metter; sulla copertina del suo libro si trova la stessa defini­zione: "scrittore ebreo").
Volendo manifestare una buona co­noscenza del background biografico, i curatori dichiarano che l'autore e "ebreo russo", ma, probabilmente, non sapreb­bero spiegare in base a quali caratteri­stiche etichettano Dovlatov "ebreo". Ebreo osservante, perche frequentava la sinagoga, era almeno circonciso? Lo stesso Dovlatov ridendo contestava ipo­tesi del genere, e anche l'ultima. Ebreo perche scriveva in questa lingua? No, lui non sapeva neanche una parola ne dell'ebraico antico, ne di quello mo­derno. I suoi scritti assomigliavano alle barzellette in stile Moni Ovadia, oppu­re a storielle metropolitane del forte gusto ebraico alla Woody Allen? Asso­lutamente no.
Perche dunque rimarcare, in coper­tina, la semplice discendenza genetica? D'altronde, anche all'interno del testo la commentatrice esagera scrivendo "II cognome Holidei conferma la gia evi­dente origine ebraica del personaggio..." Il cognome Holidei, diffuso a Pietroburgo (ricordiamo il brillante saggio di Marina Cvetaeva, Sonecka Holidei) e di derivazione inglese. La curatrice si sba­glia anche a proposito di Evghenij Eduardovic: "la combinazione del nome e patronimico indica senza dubbio un ebreo". Diamo dell'ebreo anche a Ev­ghenij Oneghin? La curatrice arriva a bollare anche il nome "Boris" come ebraico: riguardera anche Eltsin?
Il modello usato da Dovlatov (ciclo di racconti) e di primaria importanza per la letteratura russa, da Un eroe del nostro tempo di Lermontov a Racconti di Belkin di Puskin, a Racconti di Pietroburgo e Le veglie alla fattoria di Dikanka di Gogol'.
La struttura del libro di Dovlatov e perfetta, un racconto per ogni oggetto ("I calzini finlandesi" "Le scarpe del sindaco" "Un bel vestito a doppio petto" "La cintura da ufficiale" "II colbacco" ecc).
Sandro da Cegem e il romanzo piu famoso di Fazil' Iskander, letterato moscovita, raffinato conoscitore della lingua russa (il suo stile inconfondibile, trasparente nella brillante semplicita, e reso con grande efficacia dalla traduttrice Ljiljana Avirovic).
Iskander e uomo di cultura europea. Occorre dire questo per impedire che qualcuno ingenuamente s'immagini che Iskander provenga dal mondo primitivo del suo piccolo villaggio in Caucaso, il quale un'altra Macondo di Garcia Marquez e piuttosto lo sfondo onirico di un ricordo infantile, diventato luogo mi­tico, espressione di un simbolo.
Il problema centrale e di natura psicologica: la Russia e il Caucaso nel­l'eterno amoreo-dio tra la metropoli e la sua provincia. Qui la Russia comu­nista, fredda e fanatica, si scontra con il caldo Sud dove le discordie molte volte si aggiustano senza tormenti, in base al buon cibo e al buon senso. L'elemento asiatico non si rintana ne­cessariamente nei personaggi locali; anzi, nella sua forma satrapica, si na­sconde nel profondo dell'anima russa. Il tiranno Stalin proveniva proprio dalla Georgia. Era un tiranno russo. Per riu­scire a capire la Russia, bisogna legge­re questo romanzo che parla di Abchazia.
Dopo una lunga carriera di sceneg­giatore cinematografico, nel 1987, in piena attesa dei miracoli culturali che la perestrojka doveva compiere, Michail Kuraev pubblico un romanzo, Kapitan Dikstein, che fu accolto come un evento letterario. La traduzione in USA ne fece quasi il simbolo della novita letteraria in Russia. In Italia fu tradotto nel 1993 il ciclo di racconti Ronda di notte, recen­sito da Pier Vincenzo Mengaldo come uno dei capolavori narrativi degli ultimi anni. La casa editrice che pubblica Lo specchio di Montacka rimarca il succes­so dell'opera precedente. Ma mentre la prima opera tradotta era veramente in­teressante, il Montacka, purtroppo, non pare un capolavoro.
Il maggior difetto del libro e la de­bolezza della struttura. Avrebbe dovu­to funzionare, alla Maestro e Margheri­ta, l'elemento scatenante del soggetto: l'intrusione del diabolico nella vita di un normale condominio leningradese. Ma innanzitutto, il libro di Kuraev e circa due volte piu lungo del romanzo bulgakoviano. Ad un tratto tutti gli in­quilini dello strano appartamento scom­paiono dagli specchi: questi uomini e donne, come se fossero tutti contagiati da vampirismo, non riescono piu a spec­chiarsi. Poi seguono le storie, solite storie sovietiche, di una quarantina di personaggi, sempre con una intonazio­ne tanto usata nella letteratura sovieti­ca: "narro e non mi meraviglio di nien­te", fino alla spiegazione fumosa e metafisica, che giunge nel penultimo capitoletto: "Tracciando un bilancio dell'inchiesta conclusasi in modo cosi inatteso, con l'improvviso venir meno del fatto criminoso., occorre notare quanto segue: Primo. Le vittime, che si erano lasciate sfuggire di mano il timo­ne della loro vita, lo avevano affidato a un nocchiero., il cui sguardo allucinato scrutava una nebulosa lontananza dove si sarebbe dovuta celare una fantoma­tica felicita universale..." Insomma, un testo lungo, enfatico, magniloquente.
Viktor Pelevin e autore di culto nel­la Russia moderna. Costruisce i suoi libri, sempre dinamici, interessanti, dal materiale che in Russia abbonda: dai pezzi di simboli ideologici smontati, dagli slogan, dalla propaganda ufficia­le sovietica. Oppure, viceversa, dal materiale nuovissimo (spot pubblicitari): cosi nel romanzo Generazione P, non ancora tradotto in Italia. Li il lin­guaggio della pubblicita funge contem­poraneamente come oggetto e come mezzo d'analisi.
Il romanzo Omon Ra, molto riusci­to, di stupende atmosfere e di sicura scrittura, e basato su situazioni grotte­sche o macabre. Il giovane protagoni­sta, pieno di entusiasmo, si iscrive alla scuola di aviazione. Il primo giorno a tutti gli alunni vengono amputate le gambe, per renderli piu idonei all'im­magine eroica del glorioso Mares'ev, che con due protesi pilotava un caccia­bombardiere durante la Seconda guer­ra mondiale. I pochi ragazzi risparmiati da questa strage iniziatica sono invitati a diventare non meno eroici astronauti sovietici. Per scoprire che qualsiasi fase "automatica" dei voli spaziali in realta deve essere gestita da kamikaze nasco­sti sotto i simulacri dei computer di bordo... Il libro e un'ammirabile satira non solo delle gloriose montature dei tempi dell'Unione Sovietica, ma anche di quella inestirpabile sovieticita che permane diffusa persino dopo il crollo dell'impeto.
Inaudito per la Russia: lo scoppio del giallo trash
Storicamente e il primo fenomeno di natura trash di massa in Russia. Alexandra Marinina (e uno pseudoni­mo) proviene dal reparto criminologico della polizia di Mosca. Ora scrive a tempo pieno ed e autrice di 20 roman­zi: 25 milioni di copie in Russia. Case editrici di Francia, Germania e di alcu­ni Paesi scandinavi, colpite dai numeri del successo, hanno deciso di pubbli­carla. In Italia la Piemme, acquistando i diritti per una decina di romanzi, li ha confezionati in hard cover, formato grande, arruolando ottime traduttrici (Emanuela Guercetti, Margherita Crepax) e impegnandosi in una mastodon­tica campagna di promozione, con ri­sultati commerciali, pare, alquanto de­ludenti.
Marinina e veramente la piu popo­lare scrittrice russa. Scendendo nella metropolitana di Mosca, ci si convince che e in corso il boom del secolo: nove persone su dieci sfogliano romanzi di Marinina. In realta, paradossalmente, il fenomeno non e concepito in patria nei termini di kitch. Sia i lettori che Marinina stessa rapportano questi libri agli standard della cultura di qualita.
La letteratura di qualita degli ultimi decenni in Russia, coltivando rigorosa­mente l'approccio realistico, di solito seguiva uno dei due tracciati: o raccon­tava puntigliosamente i dettagli della vita di tutti i giorni, oppure esplorava temi "esotici", che erano malvisti dalla censura sovietica (la provincia russa, il profondo Nord, le cittafabbriche nu­cleari, la vita nell'esercito, le prigioni). Marinina, a quanto pare, segue abil­mente tutte e due le piste. E noto il suo metodo catalogatorio nelle descrizioni di cene e pranzi; oppure nell'elencare i vestiti tirati fuori dall'armadio da Nastja che si mette bella; o i resoconti della routine tecnica della squadra speciale omicidi. D'altronde, l'esotismo e un secondo forte motore trainante dell'in­dustria del giallo mariniano.
Marinina inventa intrecci astrusi che sfiorano livelli di parodia. Generalmente a Marinina piace raffigurare dei perfidi stranieri (specialmente quelli con "trat­ti asiatici"), sono sempre vestiti di abiti costosi e vogliono comprare e portar via tutto cio che in Russia c'e di piu prezioso. .Comprano uranio, segreti, rapiscono scienziati e addirittura ac­quistano mostri umani geneticamente manipolati. Comprando queste e molte
altre cose, ogni tanto i cattivi uccidono qualcuno: un onesto ed ingenuo ami­co, un testimone casuale, un parente che comincia a capire la natura della transazione... Corpi morti riempiono questi romanzi come soldatini di carto­ne, ma visto che la maggior parte degli assassinati sono del tutto estranei al delitto, e sempre difficile scoprire l'omi­cida.
IL MALE. A fianco di oscure ven­dette private si muove energicamente il crimine organizzato. I fautori del Male sono onnipotenti: riescono a plasmare persone, a costruirle, istruirle e adde­strarle fin da piccole, investendo su di loro montagne di lavoro e di denaro. In molti romanzi di Marinina agiscono i cosiddetti "ciborg" (robot umani).
L'unica a combattere il male e la solitaria eroina, tanto solitaria quanto straordinaria e sempre in prima linea in qualsiasi momento critico dell'intrec­cio. In molti romanzi viene riportato, nei ricordi dell'eroina, un episodio par­ticolare. "In passato Nastja aveva as­sunto la falsa identita di Larisa Lebedeva, bella ricattatrice sicura di se, per stanare il Gallico, un killer che lavora­va su commissione. La squadra della polizia... era rimasta in attesa che il Gallico cercasse di uccidere Larisa Lebedeva, cioe Nastja. Quando il Gallico si era presentato per assassinarla, Na­stja aveva passato con lui una lunga notte... Telefonando, aveva escogitato un trucco ingegnoso. Sperava che qual­cuno capisse che nelle sue parole c'era un messaggio nascosto. La mattina dopo il killer l'ha condotta fuori citta, dove la polizia infatti s'era appostata in atte­sa del Gallico".
Svolgendo il ruolo di protagonista in ogni azione, Nastja diventa oggetto del desiderio, anche morboso (da par­te di vari maniaci), Nastja si innamora (spesso di qualche delinquente) e si disillude, viene minacciata, rapita, ri­cattata. E capace di diventare bellissi­ma, ma non lo vuole mai fare, perche sarebbe controproducente per il suo
mestiere. Truccandosi, "sulla sua fac­cia, come su un foglio bianco, poteva disegnare espressioni piu diverse: la purezza dell'angelo e l'enigma dell'ido­lo". Conosce cinque lingue e traduce romanzi per arrotondare lo stipendio (tocco di realismo: gli ispettori di poli­zia, insiste l'autrice, in Russia ricevono un magro stipendio). Nastja possiede doni mediatici.
Stranamente, il parodico intellettua­lismo della James Bond in gonnella trae in inganno persino lettori colti (fetta non indifferente degli adoratori di Ma­rinina).
In ogni caso, si potrebbe magari liquidare questa accozzaglia di bubbo­le con una risata, se non ci manifestas­se un certo motivo ricorrente e abba­stanza preoccupante. E l'immagine della forza benefica, alla quale la protagoni­sta ricorre in cerca di sostegno nella sua lotta contro il Male. Non va dai colleghi della squadra speciale omici­di. Nastja sa che quelli, insoddisfatti dagli stipendi da fame, molto spesso si lasciano corrompere e sono poco affi­dabili. No, la forza benefica, liberatrice nei romanzi polizieschi di Marinina e rappresentata dalla mafia.
L'eroina passa le vacanze in una cittadina, dove in realta poche sono le attrattive: e un posto lontano dal mare e dalla montagna. Pero e la meta ambi­ta di tanti vacanzieri, grazie alla splen­dida tranquillita. La beatitudine del posto si deve interamente alla buona gestio­ne della mafia (IIpadrone della citta). "La citta... diede a Nastja una strana impressione di beatitudine. Anche quel giorno, con le strade piene di gente che passeggiava, era accogliente e pia­cevole. Dev'essere bello vivere e lavo­rare qui, penso... Ah, non sono scioc­chi i padrini di questa citta, no davve­ro. Il popolo era abituato a fare festa i primi di novembre, l'anniversario della rivoluzione... ecco un modo per man­tenere viva la bella consuetudine. E con che gusto e allegria! In ogni ango­lo c'e un banco con caffe caldo e panini, a buonissimi prezzi..." Alla fine Na­stja "s'incammino con il mafioso Denisov, pensando che sarebbe stato bello dargli un bacio..."
Il mafioso Denisov arruola Nastja per svolgere un'inchiesta (l'investigatrice della squadra speciale di Mosca che lavora per conto della mafia!). L'ope­razione e piena di pericoli, Denisov manda suo figlio ad affiancare Nastja e il giovane si fa uccidere pur di proteg­gere la ragazza (L'amica di famiglia). Finito il suo compito, ben ripagata da mafiosi che sanno come rendersi utili, leggermente perplessa, Nastja chiede sostegno morale al vecchio investiga­tore, suo maestro: "...ne consegue che io e Lei siamo dei burattinai come quelli mafiosi. Allora in che cosa siamo mi­gliori di loro?"
"Il problema e serio, Nastja. Per quanto sia duro ammetterlo, nel nostro lavoro e impossibile conservare la pu­rezza morale. Tu che ne dici?... Conti­nuerete a esistere parallelamente. E non vi incrocerete mai. Mai. Loro non vi distruggeranno. Ma anche voi non li schiaccerete".
Il Godfather russo? Non per la prima volta appare la tendenza a idealizzare i banditi in quanto potenza alternativa allo stato, meglio strutturata, piu effica­ce e paradossalmente piu "giusta". Il contesto russo moderno testimonia fino a che punto sono unite nel Paese le due realta che dovrebbero invece esse­re alternative. Le cronache dimostrano quanto forte nell'opinione pubblica sia radicato il concetto che la Russia, enor­me serbatoio di energie caotiche e a rischio di scoppio, abbia bisogno di briglie molto strette. Le visioni falso romantiche e realmente dannose del mondo criminale, che crea la Marinina, rivestendole anche di una autorevolez­za difficile da contestare (bene o male, lei ne e esperta di primo grado!), rap­presentano l'aspetto piu odioso, im­perdonabile dell'effetto Marinina come fatto della cultura di massa.
Su Marinina in Russia si scrivono decine di pagine di recensioni, e persino la migliore rivista d'elite per intel­lettuali le ha dedicato un convegno. I piu rinomati critici del Paese confessa­no che si immedesimano pienamente nei toni narrativi della scrittrice. Pur registrando lo stile orrendo, pur notan­do che l'autrice non osserva tutte le regole della detective story, pur de­nunciando l'assurdita di certi intrecci, quei critici giustificano tutto cio rifa­cendosi agli schemi di certi romanzi di Balzac: "Come il mondo di Balzac, il mondo di Marinina e appena stato scos­so da una rivoluzione borghese. Prati­camente siamo invitati di seguire la sorte degli eroi del universo passato nelle condizioni del mondo rinnovato".
Marinina dichiara che per uno stra­niero capire la Russia e impossibile. "Nastja era curiosa di sapere in che modo gli scrittori stranieri immaginas­sero la sua gente. E ogni volta si rende­va conto di come quelle rappresenta­zioni fossero poco attendibili. Perfino gli scrittori emigrati, che avevano vis­suto per molti anni in Russia, non po­tevano evitare imprecisioni nel raffigu­rare la realta russa di oggi. Per non parlare di scrittori come Martin Cruz Smith, autore del famoso bestseller Gorky Park. Nastja non ce l'aveva fatta comunque a terminarlo, incapace di dominare l'irritazione per le evidenti assurdita nelle descrizione della vita moscovita".
Marinina invece crede di sapere analizzare la vita sia nel suo Paese che fuori, di saper dipanare i fili che colle­gano il presente e il passato, la Russia e il mondo.
Dissidio, lager, memoria inesorabile
I racconti di Kolyma di Salamov: nel catalogo Einaudi un grande even­to editoriale. Nelle edizioni preceden­ti (Adelphi, 1995; v. "L'Informazione Bibliografica", n. 4, 1995) appariva
meno della meta dei testi qui inclusi. Questa raccolta, la prima veramente integrale uscita fuori della Russia, e frutto di un enorme lavoro filologico, bio e bibliografico svolto dalla com­pagna di Salamov, esecutrice testamen­taria, Irina Sirotinskaja. Grazie alla sua prefazione finalmente riusciamo a ca­pire la genesi delle varie redazioni del ciclo Racconti di Kolyma. Il gigante­sco mosaico dell'epopea kolymiana comprende sei raccolte di racconti e di saggi: / racconti di Kolyma, La riva sinistra, II virtuoso del badile, Scene di vita criminale, La resurrezione del larice, II guanto ovvero KR2. La succes­sione dei racconti e stata attentamente ' meditata dall'autore. L'elasticita e la stabilita della struttura sono garantite dalla costruzione felicemente trovata: cicli di novelle, unite dall'immagine del protagonista e dalla voce narrante. Il dipanarsi spiraliforme delle temati­che, il simbolismo della struttura nar­rativa, le reminiscenze filosofiche, il ritmo della prosa: tutto e stato soppe­sato sulla precisissima bilancia dell'in­tuizione creativa e della maestria pro­fessionale.
"L'epopea kolymiana di Varlam Salamov rappresenta la piu importan­te testimonianza sulla tragedia del XX secolo, e un fenomeno unico nella letteratura russa" dice la prefazione. "L'esperienza di Salamov nel lager ha ammesso Solzenicyn, la vittima piu illustre delle persecuzioni staliniane e stata piu amara e piu lunga della mia, e con rispetto riconosco che pro­prio a lui e non a me e stato dato in sorte di toccare il fondo di abbruti­mento e disperazione verso cui ci spin­geva tutta l'esistenza quotidiana nei lager".
Ciononostante la ricchezza del mes­saggio culturale di Salamov non si ridu­ce alla testimonianza sul degrado uma­no nelle prigioni staliniane. Salamov e scrittore geniale e colto; il suo testo e denso di citazioni, di riferimenti alla pittura e alla letteratura... L'edizione, preparata da Anna Raffetto, contiene anche un utilissimo glossario che spiega in forma stringata ed essenziale i termi­ni specifici del mondo dei lager sovieti­ci, il gergo delle carceri e della malavita, le sigle, le abbreviature. Il glossario e strettamente correlato con il testo; per questa opera sono stati utilizzati, oltre ai testi di Varlam Salamov, anche Archipelag GULagdi Solzenicyn (Milano 19751978), il Viaggio nella vertigine di Evghenija Ginzburg (Milano 1967 e 1979), edizioni in lingua russa e francese delle memorie di Oleg Volkov e // manuale del GULag di J. Rossi.
Un'altra serie di ricordi che non passa inosservata: il libro di Izrail Metter, Ri­tratto di un secolo. Metter non ha mai fatto opposizione al regime, anzi, di­sponeva di conoscenze presso il Mini­stero degli Interni che gli hanno per­messo di intervenire nel 1964 a favore di Josif Brodsky durante il processo a carico di quest'ultimo. Ma i libri, sia quello di Metter che dell'altro perso­naggio felicemente sopravvissuto alle purghe staliniane e giunto alla vene­randa vecchiaia (Lichacev), sono lace­ranti denunce del regime sovietico, il quale anche a chi non moriva nei la­ger, a chi, come Metter, ha passato soltanto qualche ora nei sotterranei della prigione in attesa dell'interrogatorio, a quelli che non sono stati fucilati ma dovevano "solo" continuare a vivere dopo la fucilazione della moglie, a tutti i semplici, ai non combattivi, agli inno­centi e agli inoffensivi questo regime riusci a piagare l'animo con indelebile marchio a fuoco. Prima di lasciare que­sta terra loro hanno fatto in tempo a raccontare le loro vite e le vite degli amici.
"Di questo parla appunto Metter guidandoci all'esplorazione dell'homo sovieticus, di ogni ripostiglio, di ogni pertugio segreto della sua anima... Chi mai ci aveva descritto l'anima sovieti­ca durante la conclamata 'grande epo­ca', la tarda eta staliniana? Molti certo, ma sono angolature differenti da Met­ter. I grandi scrittori emarginati in pri­mo luogo: Platonov, Solzenicyn, Gros sman, la Lidija Cukovskaja in Sof'ja Petrovna, ma il loro era uno sguardo assoluto, di chi stava da sempre sull'altra sponda. E ancora il grande Trifonov degli anni piu tetri del breznevismo; ma, sia pure in modo diverso, ce ne avevano anche parlato le grigie schiere degli scrittori allineati, imme­morabili. L'avvento della perestrojka ha poi fatto si che altri, piu o meno felicemente, iniziassero a ricostruire un dettagliato mosaico dall'interno della societa sovietica 'integrata'". Metter viene paragonato a Nagibin {Alzati e cammina), a Jurij Trifonov (l'incom­piuta Sparizione), a Rybakov (I figli dell'Arbat), a Kuraev (Ronda di notte), a Simonov, a Jampol'skij... Ma, dice la curatrice e lo confermano anche i te­sti, Metter possedeva una memoria tanto prodigiosa per i dettagli quanto penetrante per le sfumature psicologi­che, cosi da render le memorie incre­dibilmente contemporanee.
Le prime pubblicazioni di Metter in Italia, che gli son valse il premio Grinzane Cavour, sono state recensite qual­che anno fa nel bell'articolo di Franco Fortini ("II circolo", maggio 1993) con il fortunato titolo // regime staliniano. L'ingenua ironia della vittima. Lo stes­so titolo potrebbe essere applicato an­che al libro di memorie dell'accademi­co Lichacev.
Lichacev e considerato fuori della Russia (all'interno del paese le gerar­chle sono un po' diverse) il maggiore studioso della cultura russa medievale. La sua sembra una biografia vissuta apposta per esplorare in prima perso­na le peripezie storiche e politiche del secolo. Nato in una famiglia di intellet­tuali, arrestato nei primi anni delle per­secuzioni politiche in Russia, nel 1928, per aver partecipato a un circolo filosofico, e stato deportato nel lager Solovki, arcipelago del Mar Bianco, e ci era rimasto fino al 1932. Nel lager ha studiato il gergo della malavita, dopo la liberazione questi appunti sono diven­tati il materiale della sua tesi di dotto­rato. Lichacev e morto proprio nei giorni in cui il volume dei suoi ricordi andava in stampa presso Einaudi. Questo libro segue, pubblicato sempre da Einaudi, lo studio fondamentale sulla La poesia dei Giardini e alcuni saggi. Presto uscira dallo stesso editore un altro suo esem­plare lavoro, La poetica della letteratu­ra russa antica. Un'altra voluminosa opera Le radici della cultura russa e stata pubblicata nel 1991 dalla Fab­bri, e in base a quel libro a Lichacev fu conferita la cittadinanza d'onore della citta di Milano.
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Casale Monferrato, Piemme, 1999
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traduzione di Katia Renna e Tatiana Olear
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V
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/ racconti di Kolyma
edizione integrale a cura di Irina P. Sirotinskaja
proggetto e cura di Anna Raffetto traduzione di Sergio Rapetti e Piero Siratti Torino, Einaudi, 1999
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Scritti letterari. Saggi inediti di letteratura ed
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prefazione di Nina Kauchtschischwili
traduzione dal russo di Marica Pasolini
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