"II mondo attuale e dominato da problemi di traduzione", si legge a commento di un'intervista a Umberto Eco pubblicata dall'Espresso. La scienza, apprende il lettore, conosce diversi tipi di traduzione: traduzioni fra lingue, fra culture, fra idee e persino fra le cellule vive; di conseguenza una malattia come l'AIDS non sarebbe altro che un'in-terpretazione sbagliata, da parte dell'organismo, del proprio codice genetico. Continuando di questo passo, si potrebbe aggiungere che l'AIDS sostituisce funzionalmente la peste manzoniana e la tisi da Montagna incantata; come se i protofisici di tutti i tempi e secoli lavorassero per cancellare dal lessico alcuni vocaboli e liberare dei posti ai nuovi.
Il nostro esercizio di traduzione sara tra destini umani - dal sovietico in europeo; metteremo a confronto due realta che da sempre hanno tentato di tradursi a vicenda. I normali dizionari saranno piu che sufficienti per le parole semplici, come izba, kolkhoz e valenki, che non hanno neanche bisogno di essere tradotte; ma non offrono equivalenti per espressioni veramente problematiche come destra, sinistra, comunismo, sputnik, raketa, freddo e molte altre. Bisognera rivolgersi alla letteratura specializzata per sapere che in russo un tipo di destra vuoi dire comunista, e comunista presuppone un indirizzo ideologico ben diverso da quello che si e abituati a immaginare in Europa. Sputnik non denota il trionfo simbolico del paese dei lavoratori, ma il frutto delle fatiche degli ergastolani. Raketa non e paketa, come forse potrebbe trarre in inganno la scritta sul quadrante degli orologi russi made in Napoli. Per formare il concetto di freddo non bastano (meno) due gradi centigradi: ne occorrono quarantadue, se non cinquantadue.
L'esercizio di traduzione che segue non potrebbe partire da materiale piu simbolico, in quanto l'originale e un destino basato, a sua volta, sul principio di traduzione. Proprio questo era il lato piu spiccato della personalita del nostro protagonista, che chiameremo Vita­li) Nikitin, e faremo vivere nella mia citta natale. Li lui abita, passeggia e scrive la storia delle proprie passeggiate - dahin, dahin, nella metropoli leggiadra dalle palazzine liberty, coronata da folti boulevard, dove i cimeli della storia antica dormono in sotterranei inesplo­rati, e mummie di monaci vanno a spasso, nottetempo, nelle catacombe della cattedrale. In questa citta, in primavera e all'inizio del­l'estate, non fa ne freddo ne troppo caldo; i colori principali sono l'oro delle cupole fatto risaltare dalla loro forma a cipolla, e tutte le sfumature del verde nei giardini, dove chiazze di sole s'alternano alle macchie d'ombra. Le strade, tutte in discesa - o in salita - sono un eterno viavai, un formicaio mormorante dove da secoli coabitano, strette le une alle altre, varie nazioni, slave e non - russi, ucraini, ebrei, polacchi. E qui che e nato Bulgakov. Soltanto in questo paesaggio e da una di queste colline - quella che sorge nei pressi del monte di Vladimir il Santo - il giovane scrittore pote contemplare con occhi affascinati la distesa oceanica riempita di aria color miele, in cui fece poi librare la sua Margherita adamitica. Ma poi Bulgakov fuggi dalla scialba sovieticita di provincia, dalla guerra, dallo scoppio degli odi fra le diverse etnie. A chi sarebbe piaciuto finire in una pentola bollente? Scappano tutti da Kiev.
Se ne andra anche il nostro personaggio: la sua storia si concludera a Parigi, un'altra capitale divisa in due e dominata da un fiume possente, piena di colline e di ippocastani. Ma proprio a questo punto, quando affrontiamo il compito della traduzione della parola ippoca­stano, c'e una trappola al varco. Gli ippocastani parigini fioriscono in aprile, quelli di Kiev non prima della seconda meta di maggio, quando il sole e molto piu alto all'orizzonte. E i loro fiori sono come coni di panna montata con ripieno di nocciola, mentre quelli parigini sembrano fatti di fragili gusci di uova appena schiuse: non si potrebbero mettere in bocca e succhiare, perche scricchiolerebbero tra i denti. Se i colori, i profumi e i sapori non sono gli stessi anche se i nomi sono i medesimi, come e possibile paragonare i rapporti che gli individui hanno con oggetti cosi diversi? Come si fa a tradurli? Gli spazi abitati non si adattano alla traduzione. L'unico sinonimo che troviamo e nostalgia: abitiamo lo spazio della Nostalgia. Per tradurre questo concetto, Tarkovskij ha introdotto nel suo linguaggio cinema­tografico un neologismo: Nostalghia.
Ma almeno le persone che vanno a vivere nello spazio Nostalgia, equivalgono a se stesse, a come erano prima? Quindi si puo trovare un aggancio, un significato traducibile? Si, il modo di camminare del nostro eroe non ha subito modifiche. E la stessa andatura dinoccolata e allegra, e come sempre agita eccessivamente le braccia. Rendendosene conto, per tutta la vita ha cercato di immobilizzare le mani in qualche modo: le infilava nelle tasche, e per poter fare cio comprava giacche sportive. Questa sua camminata e rimasta impressa anche nel filmino amatoriale che doveva immortalare la commedia di una compagnia di dilettanti, rappresentata in occasione del capodanno del 1937. Non c'e bisogno di commentare il significato di questo anno nella storia della Russia; basti dire che dei nove della compagnia, solo tre poterono festeggiare il Capodanno successivo.
L'incedere caratteristico di Vitali) Nikitin si fa notare poi in un documentario del 1942, girato dai corrispondenti dell'agenzia di stampa centrale, e dedicato alla piu famosa battaglia di tutta la campagna russa. Naturalmente, i giornalisti arrivarono al fronte quando tutto era gia finito, e incontrarono una decina di difensori della for­tezza sopravvissuti. Ed ecco tra le rovine, in primo piano, il nostro protagonista, uno di quei dieci, incolume e fortunato, come sempre. Questo momento, all'indomani del combattimento, possiamo imma­ginarlo e raccontarlo a tutti indipendentemente dalla lingua. Il superstite si sente giovane, pieno di energia e di voglia di narrare la sua esperienza, la sua parte nella Storia. Crede di essere rimasto in vita solo per poter raccontare e che non potra fare a meno di scriverne.
In questa immagine giovanile notiamo un altro suo abituale segno di riconoscimento: dei baffetti da moschettiere, gli stessi di vent'anni dopo, che io ricordo da quando ricordo me stessa. La sua faccia ap­parteneva al numero chiuso dei visi della mia infanzia, e io credevo che i visi maschili dovessero essere tutti simili a quello di mio nonno - deciso, intelligente, glabro, con una piccola ruga verticale, la prima a solcargli la giovane fronte (aveva appena quarantacinque anni); o a quello di Nikitin, suo amico fraterno - con quei baffetti e tanta iro­nia nella mimica, che ogni tratto del suo volto sembrava muoversi di continuo, come se sempre mettesse in dubbio tutto quanto udiva o diceva.
I baffetti se li curava in modo quasi maniacale, perche erano il suo piu caro ricordo d'infanzia. A cinque anni, tuttavia, li portava molto piu folti e lunghi, e talmente neri che avevano riflessi verdi e blu. Il crine tinto ha questa pecularita. I baffetti, assieme alla spada, al cap­pello a larghe falde e al colletto di pizzo, glieli comprava la mamma nei negozi di maschere a Parigi.
Nikitin nacque alla vigilia della prima guerra mondiale, a Parigi, da emigrati politici russi che rimasero in Francia fino all'anno della ri­voluzione russa - vale a dire fino al momento in cui in Russia "si po­teva tornare". Quest'ultima e una formula magica che le numerose famiglie russe esuli ripetono nei momenti cruciali. Curiosamente, sono gli stessi momenti in cui le altre famiglie, nella sostanza identi-che, che invece vivono in patria, proclamano con altrettanta deci­sione la tesi opposta: "si deve andare via".
Significa che "si deve ritornare" e la traduzione nella lingua dell'emi­grazione del "si deve partire" pronunciato in Russia? La storia della letteratura ci fornisce molte dimostrazioni di questa regola. Le tro­viamo negli anni Venti, un'epoca di incessanti spostamenti di intel­lettuali tra la Russia e Berlino: anni in cui tornarono in patria Belyj ed Erenburg, mentre Nabokov, Bunin, Merezkovskij e Jakobson si rifugiarono in Francia o in America. Ma non fini li. Durante gli anni Trenta, che videro l'apice dell'attivita della tristemente famosa "As­sociazione per il ritorno in patria", ritornarono Cvetaeva e Gor'kij. Dopo la guerra ritorno in Russia Kuprin, mentre Canada e Stati Uniti rilasciarono numerosi passaporti ai nuovi profughi dell'impero staliniano. Per tacere di quanto accade ai giorni nostri: Solzenicyn e pronto ad abbandonare il suo eremitaggio nel Vermont, mentre l'Aeroflot di Mosca, Kiev e Pietroburgo vende centinaia di biglietti di sola andata sui voli internazionali.
Tutti agiscono convinti dell'unicita della propria vicenda. Si smonta la casa e gli oggetti basilari dell'esistenza, spaventati, d'un tratto impoveriti, si mettono a correre. Nel 1918 tutto il clan dei Nikitin - mamma, nonna, bisnonna e bimbo - e al completo sul binario della Gare du Nord. I documenti in riguardo scarseggiano, dato che i fratelli Lumiere il loro film l'hanno girato qualche anno prima - e, a dire il vero, in un'altra stazione, quella di Saint-Lazare. Nondi­meno possiamo ammirare un esempio di cinema muto francese, con un enorme coffre che i due facchini ansimanti ripongono sul ripiano dello scompartimento del wagon-lit. Ci si puo fidare della descri­zione di questo coffre poiche, con tutti i suoi cassetti interni, tasche e specchietti, e diventato piu tardi il mio covo e il mio regno per tanti anni - da quando ne avevo due a quando ne avevo sette. Non c'e dubbio che sarei capace di tradurre in tutte le lingue che volete la sensazione provocata dal contatto con la mucosa del suo ventre, cosi fragile che ogni tanto si trasformava sotto le dita in una polvere car­tacea... Potrei rendere conto esattamente del colore corteccia, delle pieghe taglienti e grigiastre dell'epitelio che possedeva il caro pachi­derma; sono sicura dell'odore - era simile al profumo delle foglie di te abbriccate sul fondo di una teiera svuotata; ma non saprei dire nulla delle misure dell'oggetto, in quanto erano in perpetuo cambia­mento, in proporzione alla mia crescita.
Insomma, per quel che riguarda il coffre parigino, possiamo essere tranquilli. Piuttosto avro problemi con la descrizione degli oggetti appartenenti alla mia stessa casa: chi li ha mai rivisti, quei tre cesti da viaggio fatti di vimini intrecciati - prodotto tipico degli artigiani del basso Dnepr. Cesti che i due fratelli maggiori di mia nonna riempi­rono con i loro libri, infilando nel poco spazio rimasto dei vestiti che poi pero dovettero tirare fuori, perche i maledetti coperchi non vole­vano chiudersi, e si era di fretta, visto che il tram, che veniva aiutato da due cavalli bassi e pelosi, dalle gambe elefantine, per il tratto in salita dalla sinagoga rossa a casa nostra, era quasi arrivato, soffiando come un mantice, di fronte al nostro portone, e gia si stavano stac­cando i cavalli. Bisognava aridare giu di corsa; perdere il tram signifi­cava arrivare in ritardo alla stazione. Ritardo, in quest'epoca, era un termine relativo, poiche era gia dall'inizio della guerra che non esi­stevano piu orari. Ma questa volta si sapeva di sicuro, direttamente da un vicino che lavorava alla stazione, che quel giorno, o quello successivo, sarebbe dovuto partire un treno in dirczione di Odessa. Da li il fratello e la sorella della nonna avrebbero potuto tentare di salire a bordo di qualche imbarcazione - obiettivo finale Marsiglia, Francia.
Dopo un anno di pellegrinaggio, entrambi erano riusciti a raggiun­gere la Francia, ma di loro non si era saputo nient'altro: infatti, dopo la loro prima cartolina, iniziarono i quarantenni durante i quali le lettere mandate in Russia dall'estero semplicemente non avevano al­cuna speranza di arrivare ai destinatari. Gli unici documenti risal­gono agli anni Settanta: polaroid, colori squillanti, didascalie a stam­patello fatte con una penna a sfera che lascia solchi profondi sulla carta fotografica lucida: un cottage, un'automobile e un'altra ancora, una Cadillac di lusso. Oddio, a sentire la nonna, il fratello si interes­sava solo di Baudelaire. Nella Cadillac un vecchietto con una den­tiera da Douglas Fairbanks, e la mia prozia dai capelli turchini. Per non dire di numerosi parenti sconosciuti. Tutto sommato, questo materiale e perfettamente traducibile, specie in italiano, visto che c'e una zia americana ogni due famiglie italiane. Invece c'e stata una prova linguistica ben pesante, quando, dopo le prime lettere arrivate dagli Stati Uniti, si erano presentati loro stessi, in carne e ossa. Non sapevo che tipo di traduzione avrebbe potuto salvarci: che sangue poteva correre tra il loro russo fossilizzato e la mia lingua flessibile e gaia? Il loro modo di manifestare simpatia non aveva corrispondenti nella nostra mimica; da noi il boti ton poteva tollerare al massimo un piccolo ghigno ironico, non certo un sorriso denti al vento.
Grazie al ciclo dispongo di una testimonianza inestimabile per rico­struire quell'attimo della lotta con i coperchi, immortalata dalla mi­gliore macchina fotografica del mondo: due occhi di porcellana color cobalto sotto l'orlo di un diaframma di seta nera - voglio dire la folta frangia di mia nonna, all'eta di tre anni. Ciak, l'immagine e fissata per sempre, nitida e festosa: e un tipo di arte che sa unire la ricchezza di dettagli di una foto a colori con la raffinatezza del bianco e nero. C'e solo un piccolo particolare di questa fotografia che non mi con­vince: un particolare motivato da quanto avevano detto gli adulti, che i due fratelli stavano partendo per l'oltremare. Il risultato e que­sto: sullo sfondo del selciato della strada, che si vede attraverso un'altissima finestra incorniciata da una vite selvatica, attaccati al ro­busto tram del desiderio, al posto dei soliti cavalli vediamo due gi­ganteschi ippocampi.
Fu in quei giorni, all'eta di sei anni, che Vitali) Nikitin, il futuro celebre narratore russo, ritorno nella patria che non aveva mai visto. La prima reazione mi risulta sia stata alquanto critica: "Quel sale pays, il n'y a pas de bananes". Ricostruendo questo periodo, dispongo di te­stimonianze piu che affidabili, costituite da numerosi racconti di sua madre, con la quale ero costretta tante volte a conversare per intere giornate, abbandonata dai traditori in sua balia quando lei, decrepita ma ostinata, mi faceva diventare la platea davanti alla quale recitare il dramma che ricordava meglio di tutta la sua vita - vale a dire, logi­camente, le faccende di cinquant'anni prima.
Meno male; proprio quel materiale, adesso, mi sembra estremamente importante per poter analizzare Veducation sentimentale del nostro protagonista. Tutta la sua vita, infatti, fu segnata da una sorta di in­fantilismo; i suoi gusti e le sue predilezioni erano gia formati da pic­colo, e resto sempre con la mamma che, anche nella vecchiaia piu avanzata., rimaneva la fedele compagna delle sue passeggiate e dei suoi viaggi. Nei suoi rapporti con la gente c'era sempre un elemento di gioco. Gli amici lo adoravano; i burocrati imbronciati si ammorbi-divano quando lui, allegro e sorridente, con il nodo della cravatta quasi sull'ombelico, irrompeva nelle stanze del potere e si accomo­dava direttamente sull'orlo della scrivania. Nikitin era famoso per il coraggio fisico manifestato sia al fronte sia all'ospedale, dopo una grave ferita; ma ammirabile tra soprattutto il suo coraggio nei con­fronti del regime. Chi gli voleva bene, arrivava ad arrabbiarsi per queste sue prodezze da moschettiere, da persona convinta di avere in ciclo un Dumas protettore, che mai avrebbe permesso che venisse fatto del male a lui, al suo eroe preferito.
A volte si comportava crudelmente come sanno fare i bambini, soprattutto quando lo sfiorava il sospetto di non essere il centro del­l'attenzione universale. Il suo alcolismo faceva parte dello stesso at­teggiamento. Passava con rimarcabile velocita dalla fase Hemingway a quella Scott Fitzgerald: voglio dire, alla fine della serata si ubria­cava a morte, ma solo quando voleva dar da fare a qualcuno che gli stava accanto, e che lo avrebbe dovuto accompagnare a casa, conso­lare, e raccontare balle a sua madre.
Sara un sacrilegio, ma viene da pensare - anzi, da testimone oculare, ne sono quasi convinta - che lui abbia vissuto, non so se posso dire con felicita, ma comunque con immensa intensita il suo ultimo pe­riodo a Kiev, prima dell'emigrazione, prima di essere obbligato ad abbandonare la propria vita e a compiere il passo definitivo incontro alla morte. Nel periodo di cui parlo, Nikitin era pedinato giorno e notte, c'erano tre macchine del KGB di turno accanto al suo portone, e lui... Lui se ne fregava in modo affascinante, era stupendo, li pro­vocava con un'innata baldanza, li prendeva in giro, quei coglioni della Guardia del Cardinale. Ne ammazzava cinque o sei al giorno, come una volta, nei pressi di La Rochelle. Peccato che l'antipatica Guardia si vendicasse sulle persone che non erano cosi energiche, o forse non erano cosi famose. Un giovane, colpevole soltanto di es­sere stato suo amico, era stato condannato a sei anni di lager, un al­tro se ne era beccati nove. Entrambi finirono nei campi di lavori forzati in mezzo ai delinquenti; non so se ne siano usciti vivi. Qualche altro amico e stato rinchiuso in un manicomio penale, come si amava fare in Russia a quell'epoca.
Non tutti gli amici e conoscenti, tuttavia, patirono tanto. Alcuni si limitarono a perdere il lavoro una volta per sempre. In una data settimana tutte le persone che capitavano, ignare, alla porta della casa dei Nikitin, venivano arrestate e perquisite: e alla perquisizione partecipava anche un ginecologo. Dopo di che questi amici e cono­scenti che non sapevano usare bene la spada venivano rilasciati e ri­mandati a casa. Alcuni si rivelarono tanto vigliacchi da non farsi piu vedere. Contro questi individui Nikitin non si stanco mai di lanciare filippiche, non solo nel periodo di cui parliamo, ma anche dopo, da Parigi.
Traducendo questo periodo della sua vita, posso appoggiarmi solo su alcuni documenti e sui miei ricordi personali. Mio nonno era gia morto, poiche faceva tutto in anticipo: si sposo giovanissimo, ebbe una figlia, torno dalla guerra, divento un ottimo pittore e uno scrit­tore di fama, e mori ad appena cinquantacinque anni. Io e mia nonna abitavamo gia a Mosca, e quindi non posso servirmi che dei ricordi sconnessi di quando andavamo a Kiev a trovare Nikitin. Ma posse­diamo gli scritti, i suoi romanzi, che ci dovrebbero aiutare a capire quello che stiamo analizzando ora: ossia come si diventa un dissi­dente di mestiere.
Come sappiamo, la poetica di Nikitin e preconfigurata dalla ten­denza ad appagare i propri desideri infantili. Le sue scelte stilistiche e tematiche gli vennero dettate direttamente dalla realta che lui co­mincio ad amare all'eta di sei anni; e se nelle sue opere si riflettevano nuove manie, si rivelavano comunque parenti strette delle infatua­zioni infantili. In qualunque cosa abbia scritto si nota sempre un'im­pronta impavida e cavalieresca che, mescolata con una buona dose di Hemingway e di Remarque (i suoi autori preferiti), gli fu d'aiuto a tradurre nella lingua di un romanzo di avventure la triste realta che aveva sofferto nelle trincee della seconda guerra mondiale. I Tre Camerati sposarono i Tre Moschettieri, e dalla loro unione nacquero i Quattro di Stalingrado (questo, in effetti, il titolo della versione fran­cese del film tratto dal romanzo di Nikitin).
Dato che il sacro nome figurava proprio in copertina, una notte il li­bro di Nikitin fini in mano a Baffone, e lo appassiono. In quel pe­riodo, in quel paese significava... ecco una vera intraducibilita! Come si puo far capire al lettore occidentale la nuova professione del no­stro eroe - Scrittore del Popolo? Si potrebbe cominciare a spiegare che il titolo di poeta di corte inglobava, in parte, il ruolo cui, trenta lustri prima, aspirava appassionatamente Puskin - quello di guida spirituale dello zar e, di conseguenza, della nazione. Una prospettiva simile faceva diventare pazzo Majakovskij; forse lo avrebbe voluto per se anche Gor'kij, che comunque era molto piu cauto. Sappiamo quali furono le reazioni di Bulgakov e di Pasternak quando entrambi ebbero colloqui telefonici con l'Onnipotente. Pasternak invito Stalin a conversare sulla vita e sulla morte. Quello aggancio subito...
Con il nostro protagonista, Stalin non volle mai parlare o in­contrarsi. Nikitin, come al solito, risolse tutto con un piccolo gioco: invento un incontro immaginario e descrisse un'amicizia possibile con il tiranno, con una sbronza colossale a quattrocchi e tutti i con­sigli utili che il Poeta avrebbe potuto fornire allo Zar nel corso di una notte brava. Il testo usci trent'anni dopo la morte di Stalin: pos­siamo essere sicuri che, finche il Kaiser Giuseppe era vivo, a nessuno sarebbe venuto in mente non dico di pubblicare, ma neanche di te­nere nel cassetto scritti del genere.
La svolta nella vita di Vitali) Nikitin presentava comunque un altro aspetto. Una volta acquistata tanta importanza, il nostro eroe non avrebbe mai piu potuto godere neanche di quella ristretta autonomia di cui disponeva prima. Diventato quasi automaticamente membro del partito, sarebbe salito al vertice della gerarchla dell'Unione degli Scrittori, con l'obbligo di non si sa quante sedute settimanali. Gli sa­rebbe toccato intervenire in circostanze in cui l'unico desiderio nor­male sarebbe stato di scappare il piu lontano possibile... Dobbiamo pero riconoscere che il nostro eroe, con il suo innato buon gusto, seppe trovare una via di mezzo, riuscendo a circoscrivere la fetta di anima che spettava al diavolo. Comunque: quell'unico libro elevo Nikitin al vertice del Cremlimpo, e gli procuro tanti allori - in Rus­sia, Francia, Italia, America: dappertutto - da condirci i suoi arrosti fino alla piu tarda vecchiaia. Avrebbe potuto non scrivere piu niente sino alla fine della vita. A parte questo, doveva solamente starsene buono.
Tra gli inestimabili privilegi, conseguenza del suo nuovo incarico, uno lo rallegrava immensamente, anche se gli era ben chiaro che, per quello, avrebbe dovuto pagare piu che per tutto il resto. E, peggio ancora, si sarebbe trattato di un pagamento immediato, da effettuare all'atto stesso della consumazione. Si trattava naturalmente del di­ritto di espatrio. Certo non ai tempi di Stalin: allora non poteva pen­sarci nessuno. Ma l'incarico di Letterato del Popolo non svani nep­pure dopo la morte del tiranno. E Kruscev, come ben si sa, volle ap­portare alcune modifiche alle regole del ballo. A differenza di Stalin, lui usciva dal paese, e permetteva ad altri di uscire, naturalmente scelti bene, controllati e scortati, e per periodi non troppo lunghi -non piu di una settimana. Gran conoscitore delle belle arti, organiz­zava con entusiasmo manifestazioni internazionali, e spediva ovun-que ambasciatori artistici della Repubblica dei Soviet: i quali, se­guendo le tracce delle due cagnette e del povero Gagarin, contribui­vano a consolidare le simpatie russe di tutte le persone brave e one­ste del mondo. Vitali] sembrava molto adatto al ruolo del messag­gero culturale: e lo era veramente, per tanti motivi gia riferiti.
Questo ruolo non solo gli andava a genio e lo divertiva, ma ve­niva da lui percepito come il colpo di fortuna piu raro e auspicabile che si potesse desiderare. Ricordiamo, da un lato, la sua passione, nata nell'infanzia, per le vecchie pietre dell'Europa, per la sua cul­tura, per la melodia delle sue lingue, e dall'altro il suo amore appas­sionato per le passeggiate - passeggiate che erano divenute un modo di esistere, la sua occupazione principale: meglio se fatte in compa­gnia di qualcuno, altrimenti da solo, conversando con se stesso. I suoi libri ci riferiscono centinaia di passeggiate, raccontate con tutte le possibili digressioni sull'arte, l'architettura, la storia, la psicologia del genere umano. Nikitin capiva perfettamente fino a che punto il bighellonare era diventato la raison d'etre della sua esistenza: non a caso intitolo il suo libro piu amato Passeggiate di un perdigiorno.
Il suo primo viaggio fu legato a una grossa occasione: il congresso della Comunita Europea degli Scrittori, tenutosi a Firenze nel 1962. A questo proposito parrebbe opportuno spiegare (ma sara un'ulte­riore nota del traduttore, quando invece sto cercando di eliminarle) che l'Italia e stata da sempre il paese piu desiderato dai russi, i quali la vedevano come la loro seconda patria spirituale. Si tratta in parte di una visione standard - pensiamo a Byron, Stendhal, Goethe - ma certo e proprio nell'immaginario russo che l'Italia era, ed e, marcata­mente idealizzata. Puskin aveva sognato invano di vedere l'Italia -non gli concessero mai il passaporto estero - ma quante belle poesie ha dedicato a Venezia, pur non avendola mai vista! Gogol' si augu­rava di morire a Roma e, arrivato a Roma dalla Russia, scrisse: "La Russia, la neve, i mascalzoni e l'ufficio - era tutto un sogno. Mi sono svegliato nella mia patria." Dostoevskij ha scritto in Italia i suoi ro­manzi migliori.
Bisogna poi aggiungere che nell'anno 1962, a un sovietico colto, l'Italia sembrava piu vicina di altri paesi poiche, per motivi ideologici, gli unici film stranieri che venivano proiettati nell'Urss erano quelli neorealisti, con il loro senso sociale recondito - come // ferroviere di Pietro Germi; di conseguenza, per i russi quello italiano probabilmente era l'unico mondo al di la dei confini: e questo per il suo volto vivo, perche ne esisteva un'immagine. L'effetto devastante di una prima impressione come questa si manifesta nettamente nei famosi saggi italiani di Nikitin, che mostrano una disperata inclina­zione a vedere la realta attraverso gli schemi prefabbricati del cinema sociale e sentimentale.
L'Italia era anche il paese col quale gli scambi culturali si attua­vano con una mirabile animazione. Carlo Levi, Giulio Einaudi, Guido Piovene, Renato Guttuso, dopo i loro viaggi in Russia, erano gia buoni conoscenti di Nikitin, che era diventato amico di tutti loro, come succede in questi casi, con un'innaturale facilita. La simpatia per le persone concrete si proiettava su un'intera nazione: una simpa­tia generica che in realta non significava niente. Peggio ancora, l'illu­sione di avere gia conosciuto questi e altri personaggi distraeva l'os­servatore da un'esplorazione attenta. Il modo in cui Nikitin riassume le opinioni espresse nel corso del convegno da Guido Piovene, Da-nilo Dolci, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini - con i quali aveva conversato ininterrottamente tutta la settimana - non ci permette di estrarne alcun parere originale o almeno interessante, anche se pos­siamo essere sicuri che ce ne saranno pur stati.
Nei suoi diari di viaggio, infatti, che in teoria nascevano per raccon­tare (ossia tradurre) ai russi quanto non avevano mai visto, ma era per loro di grande interesse, Nikitin, in genere, non cerca di andare nel profondo, anche se l'intenzione sembra tale. In realta riproduce un'immagine generica della mitologia culturale, un'immagine dell'I­talia gia tradotta in russo, dipinta con le tinte dei baedeker russi del­l'inizio del secolo, sonorizzata con le voci del cinema degli anni Cin­quanta doppiato presso la Mosfilm, e suonata con gli strumenti della poesia russa romantica e simbolista. Un tale approccio lo spinge a inebriarsi delle parole. "Quando ritorno da Villa Borghese al mio Hotel Impero presso la stazione Termini...": Nikitin gusta questa frase indipendentemente dal fatto che si tratti di uno dei piu squal­lidi albergucci di Roma, comprovando in tal modo la classica e te­nace tendenza russa al nominalismo. E invece, quando parla di cose concrete, mostra una superficialita insolita per una persona che e sempre stata acuta e perspicace nella conversazione di tutti i giorni. Menzionando di sfuggita la storia, piuttosto caratteristica, di un in­dustriale italiano che, dopo un visita in Russia, aveva deciso di far conoscere ai propri dipendenti la realta sovietica senza il velo dei miti, pagando loro il viaggio a Mosca e Leningrado, Nikitin non sembra preoccuparsi che le cose, nella realta, fossero andate in modo del tutto diverso. L'imprenditore non si chiamava Benito Gualdi, ma Renato Grotti da Carpi, e la sua impresa non aveva carattere filoso­vietico, ma l'esatto contrario, come si puo leggere nel suo libro (In attesa di un pullman, Bologna, Calderini, 1991).
I diari di viaggio di Nikitin illustrano bene la fenomenologia del­l'occidentalismo russo, nel contesto del quale l'Europa, anche se molto amata e studiata, non e che il pretesto per l'unico discorso che stia veramente a cuore: quello sulla Russia. Nei libri di Nikitin il narratore non lascia inosservate ne le torri di San Gimignano ne il barocco di Napoli - ma subito dopo si lancia regolarmente in mas-sicce digressioni sui progetti edilizi per i quartieri popolari di Kiev. Parla di prigioni naziste, ma molto piu di quelle staliniane. Abi­tuato a lavorare in condizioni di censura inflessibile, si attacca a qualunque pretesto per analizzare la realta russa. Un diario di viag­gio, in tal caso, non e che un nuovo palcoscenico usato per conti­nuare il discorso sui problemi nazionali, per insegnare, esortare, ammonire, predicare.
La pubblicazione del diario italiano ebbe un'importanza cruciale nella vita di Nikitin. La prima conseguenza fu che il regime modifico l'atteggiamento nei suoi confronti. Il nostro protagonista venne cosi quasi obbligato a sviluppare un ruolo sociale che in precedenza non gli avrebbe neanche sfiorato l'immaginazione: dissenziente prima, dissidente poi e, alla fine, combattente contro il potere sovietico ed emigrato politico.
Tutti conoscono l'immagine di Kruscev che urla paonazzo a una riu­nione dell'ONU, con la sua scarpa in mano, e i tre o quattro capelli ri­manenti che vibrano verticali sul cranio calvo. Una maschera di sde­gno da tragedia greca: lui stesso si rendeva conto della comicita della propria figura, e certo era l'unico tra i leader sovietici che usava in modo consapevole le tinte comiche - il che rimane senza dubbio il suo massimo pregio. La sua reazione al libro di Nikitin, che non gli era piaciuto, fu rituale: sputo un centinaio di parolacce da un alto podio, sbraitando ed estasiandosi della propria collera. L'autore del libro venne stigmatizzato come un adulatore dell'Occidente, un lec­capiedi, quasi quasi come un vile e un traditore. A questo punto po­trebbe sembrare legittima una domanda: come riusci a provocare uno scontento cosi acre un'operazione culturale che si limitava a soddisfare le richieste di chi aveva mandato il nostro eroe in quel viag­gio d'affari?
La risposta sara paradossale. E probabile che il delitto di Niki-tin sia stato prettamente linguistico. Secondo le regole del gioco, il suo compito era quello di raccontare la Russia agli stranieri, impie­gando tutto il suo fascino e la sua capacita di convincere - cio che avrebbe dovuto funzionare meglio di qualsiasi propaganda. Era pre­visto anche un lavoro di traduzione inversa - la pubblicazione, ap­punto, di un diario di viaggio, meglio se non troppo esteso, dedicato alla descrizione dei miracoli della terra wo die Zitronen bliihn. Ma la missione, in nessun caso, prevedeva una discussione seria e proble­matica, rivolta ai russi e dedicata alla Russia.
Non aveva fatto il lavoro di traduzione, mentre da lui ci si aspettava proprio questo. In una cultura caratterizzata da un'elevata semioticita, quale era quella russa del periodo di cui parlo, un tale sbaglio poteva costare la vita. Dal punto di vista semiotico, sembra poi divertente che il peccatore colpevole di un inammissibile inte­resse per la Russia venisse spedito nel girone dei filo-occidentali.
Capitato in tale girone, il nostro protagonista in pochi anni si tra­sformo in un pericoloso perturbatore dell'ordine pubblico. Nel gi­rone, comunque, se la passava piuttosto bene. Si trovo circondato da tanta brava gente, sovversiva come lui, con la quale poteva chiac­chierare ancora piu volentieri che con i colleghi dell'Unione degli Scrittori. Dato che il suo passatempo preferito era passeggiare, vi si dedico interamente, sapendo che casa sua era imbottita di microfoni. La conversazione piu innocua assumeva obbligatoriamente un carat­tere peripatetico; e non posso elencare tutte le incantevoli storielle e tutti gli scorci di paesaggio urbano che mi aveva regalato, e che altri­menti non avrei mai notato.
Quali altri delitti compi durante la sua attivita di dissidente? Cose non da poco. In pratica, lascio uscire in liberta la sua vera na­tura, quel gamin parigino che lui, ragazzo di buona famiglia, in realta non era mai stato, e per il quale gli piaceva spacciarsi. Scherzava molto piu della media sovietica. Rilascio due o tre interviste ai corri­spondenti europei. Incontro stranieri di propria iniziativa, e non, come in precedenza, per incarico dell'Unione degli Scrittori. L'azione piu seria che abbia compiuto fu un intervento, nel settembre del 1966, in occasione dell'anniversario della fucilazione di massa degli ebrei di Kiev a Babij Jar, il 29 settembre 1941. I tedeschi ster­minarono centomila ebrei nel giro di tre giorni - donne, bambini e vecchi. Gli uomini erano al fronte, cosi si salvarono. Venticinque anni dopo il comizio abusivo si svolse sulla fossa comune, accurata­mente spianata, dove quel giorno, vista l'adunata sediziosa, sparirono i soliti individui curvi che, armati di palette, scavavano sempre nella speranza di trovare denti d'oro.
Io, fin da piccolissima, di tanto in tanto andavo li col nonno. In questa fossa anonima, tra centomila cadaveri, giacevano i miei bi­snonni, i suoi genitori. Noi non avevamo bisogno dell'anniversario per ricordarci di loro.
L'unica lapide sulla fossa comune consisteva - lo ricordo in tutti i particolari - in un pezzo di compensato con una scritta sbilenca: "Rigorosamente proibito lo scarico di immondizie. Multa trecento rubli."
Il discorso di Nikitin, che accusava il comitato cittadino del municipio di Kiev di vergognosa negligenza dei sacrosanti obblighi umani, invi­tandolo a installare al piu presto una stele funebre, funziono come una miccia, e scoppio un'indignazione generale. Da allora, ogni anno, un comizio dava spazio alla protesta, e veniva regolarmente soppresso dalla milizia a suon di botte e di licenziamenti dagli enti pubblici (nota del traduttore: enti privati in Unione Sovietica non ne esistevano). In soli quindici anni la resistenza del municipio venne pero vinta, al posto della fossa arrivarono tanti camion e tante gru, e ora, nella valle dove sono state sepolte ancora vive centomila persone, c'e un bellissimo parco giochi, con tanto di campo di calcio, e si leva - finalmente - una meravigliosa statua, che raffigura, chissa perche, un muscoloso marinaio ucraino ribelle, alto dieci metri, che lotta contro i nazisti. Questi ultimi non si vedono: saranno scappati tutti.
A furia di svolgere tale attivita sionista e sovversiva, Nikitin divento un barabba diplomato, e la casa dove viveva con la madre ottuagenaria si trasformo in un vero covo di briganti, regolarmente rifornito di una scorta di bombe fresche. Nel collare della cagnetta Giulia si nascondeva un potente trasmettitore, tutte le pentole della cucina erano di puro uranio radioattivo, e dietro lo sportello del frigorifero covavano perfide dieci bottiglie molotov.
Tale era, ovviamente, il sospetto degli ufficiali del KGB, quando nell'inverno del 1973 venne mandata una squadra di otto persone con l'ordine di perquisire il bilocale di Nikitin e di sequestrare i materiali che la legge definiva antisovietici. Costoro impiegarono cin-quantadue ore per mettere tutto sottosopra, sventrando i divani con le forbici e staccando i tacchi delle scarpe dello scrittore e di sua madre. Ogni oggetto sequestrato venne puntigliosamente registrato in un protocollo di sessanta pagine. Gli portarono via diverse annate di Le Monde e di Paris Match - regali di amici francesi, che glieli gira­vano dopo averli letti, sapendo di procurargli in questo modo un'e­norme gioia, dato che in Russia non poteva abbonarsi ne comprare edizioni straniere. Altri oggetti sequestrati erano la macchina da scrivere, il mangianastri, e due coltelli da cucina senza filo, piu uno da tavola, quello da pesce.
Questo era il periodo in cui gli amici di Nikitin, reduci da esperienze uguali o simili, uno dopo l'altro chiedevano visti per l'espatrio, oppure venivano letteralmente defenestrati. Non a caso un viaggiatore italiano del Settecento, Francesco Algarotti, chiamo San Pietroburgo "finestra sull'Europa", definizione immortalata da Puskin in una delle sue poesie piu belle.
Cosi si concluse la battaglia del famoso dissidente, che non si era mai pronunciato contro il regime, come del resto non aveva mai combat­tuto contro il totalitarismo una grande maggioranza di quelle persone che all'estero venivano chiamate dissidenti (nomignolo, in Russia, praticamente in disuso). Nikitin non commise alcun atto eroico. Ma per quel che oso fare, lui e altre persone del suo stampo, bisognava possedere un particolare coraggio, oppure un senso di impunita, o tutti e due. L'eroicita consisteva nel rifiuto di parlare la 'loro' lingua. Nient'altro.
A Parigi, nella citta della sua infanzia e dei suoi sogni, Nikitin svolse una vita muta, sorda e morta. Rimase uguale a se stesso? Purtroppo si - a questa domanda abbiamo gia risposto all'inizio. Era lo stesso, ma non aveva piu interlocutori per la sua charmante causerie, ne lettori che avrebbero potuto capire tutto a meta parola. Il pubblico era diverso, nonostante si trattasse di gente che continuava a leggere in russo. Era il pubblico degli emigrati che, per sopravvivere fuori dal loro paese, pur parlando russo, dovettero scordare la lingua dell'intellighenzia che avevano usato in patria. Questa loro ex lingua avrebbe potuto essere definita come antagonista del linguaggio del potere. Nikitin era abituato a usarla come strumento professionale. Li fuori non importava piu a nessuno.
La sua tomba e nel cimitero russo a Sainte-Genevieve-de-Bois, vicino a Parigi. Sulla croce c'e il nome in russo e sotto in francese. Sembra strano che qualcuno abbia voluto tradurre anche le date di nascita e di morte.