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Conversazioni a bocca piena “Agli italiani piace parlare di cibo“, non solo, ma anche scrivere di cibo. Per rendersi conto di questo stato dell’arte è sufficiente metter piede in una qualunque libreria sia essa di borgo o di città. L’area destinata alla “cucina”, un tempo risibile, oggi è una delle più affollate, soprattutto di ricettari. Un tempo c’erano soli soletti “La scienza del mangiar bene“ di Pellegrino Artusi, le ricette di Lisa Biondi, oggi sono centinaia di volumi di cuochi, gourmet e dilettanti allo sbaraglio.
Il fatto curioso è che siccome gli italiani, come emerge dai dati, mangiano sempre più fuori casa, viene da chiedersi quando e dove gli acquirenti dei volumi cucinino quelle ricette. Forse è in atto, vista la moda del cibo, la costruzione di biblioteche da mostrare, magari prima di offrire la cena nel salotto buono, quasi a tranquillizzare l’ospite. Non si trovano più però ricettari mitici, dove scrittura, ironia e fantasia si combinano, quali “trattato di culinaria per donne tristi“ di H.D. Faciolince o “L’ uovo alla Kok“ di A. Buzzi.
Spesso quando i cuochi realizzano il loro “libro” offrono una dimostrazione di ego, quasi a voler dire: “ci sono anch’io in libreria“, o meglio esporlo nel salotto del locale per essere visto, considerato. E quasi sempre le ricette sono impossibili da realizzarsi in casa con gli accessori casalinghi.
Certo ci sono eccezioni come la collana “autoritratti in cucina“ di Bibliotecha culinaria, più disincantata, meno pretenziosa, dove l’autore chef ha scelto un tema di suo gradimento per crearvi attorno un ricettario: “parmigiano reggiano“ di M. Bottura, “Sidecar” di M. Uliassi, “una giornata in cucina” di P. Lopriore, “Zuppe” di A. Caputo.
Originale è certamente il volume: “Ingredienti” di M. e R: Alajmo (Le calandre) per le foto, la grafica e l’impostazione dove per quanto riguarda le ricette c’è anche “una rilettura” grafica dello chef.
Monumentale è invece “Il grande libro di cucina di A. Ducasse con il primo volume il Pesce“: un’opera preziosa per professionisti o per scuole di cucina, scritta in modo chiaro, didattico, come si confà a chi vuol dettare le regole per realizzare una pietanza.
Elena Kostioukovitch, saggista, docente, traduttrice, nel suo “perché agli italiani piace parlare di cibo“ (ed. Sperling&Kupfer) non scrive o racconta ricette ma un viaggio nelle regioni italiane alla ricerca dell’identità territoriale soprattutto attraverso i prodotti, storia locale, le tradizioni, la cultura. La sua tesi, condivisibile, è che un piatto, un cibo, un sapore negli italiani si trasformano sempre in un argomento di conversazione o di discussione. Non solo ma che proprio il cibo scateni la memoria, i legami, la storia.
E’ davvero singolare che, un’ autrice straniera, faccia scoprire l’ Italia agli italiani attraverso il cibo facendo ricorso anche alle sagre, vere antenna della geografia gastronomica, dimenticate e snobbate da tutti, perfino dagli scrittori di cibo.
Singolare è il volumetto: “ aglio, menta e basilico“(Assolo editore), di Jean Claude Izzo, scrittore noir marsigliese, dove si possono leggere tre brevi racconti sui tre ingredienti, in certi casi fondamentali, della cucina dove sono lo spunto per raccontare il primo bacio, la cucina di casa, il mercato. Un modo ancora una volta per sottolineare come i profumi del cibo siano straordinari evocatori della memoria, il tutto tra belle pagine su Marsiglia e il Mediterraneo. Dulcis in fundo: “Fast food nation” (Troppa editore), un libro uscito un paio di anni fa, assai trascurato, ma tornerà alla ribalta perché tratto da questo best seller Usa di Eric Schlosser che mette sulla griglia l’intera filiera alimentare, è in uscita un film molto atteso. Sine qua non.
Davide Paolini