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È un viaggio per le regioni del Paese e, al contempo, tra sagre e minoranze, slow food e tradizione, ingredienti e democrazia, romanticismo e abilità tecniche. Il libro che esce in una nuova edizione per la casa editrice Odoya con la prefazione è di Umberto Eco si intitola “Perché agli italiani piace parlare del cibo – Un itinerario tra storia, cultura e costume” e lo firma Elena Kostioukovitch, la scrittrice e docente russa che già nel 2007 ha vinto il Premio Bancarella della cucina.

Alla scoperta del codice del cibo

Sono 680 pagine che l’autrice, già traduttrice in russo di Eco, non dedica solo a ricette e suggerimenti per la preparazione di piatti tipici italiani. Ci sono luoghi, come il mercato del pesce di Milano, che descrivono un viaggio in quello che Elena Kostioukovitch definisce il “codice del cibo [che] spiega e organizza il complesso delle informazioni che si riferiscono alla storia, alla geografia, all’agricoltura, alla zoologia, all’etnografia, al design, alla semiotica della vita quotidiana e all’economia applicata”.

Contro il contaglio consumistico

È la scoperta di una sorta di “lingua della cultura, resistente al contagio consumistico”. Infatti “il consumismo e il suo veicolo, la pubblicità, sono infatti ossessionati dall’oggi e dall’effimero, puntano ostinatamente a svalutare il già noto e a valorizzare la novità, mentre la lingua della cultura è orientata verso la storia e liquida le trovate modaiole come semplice kitsch. Ecco perché il codice culinario italiano è carico di dignità, democraticità ed erudizione”.

Eco: “Senza il cibo non si conosce un popolo”

Per Umberto Eco, che nella sua prefazione non nasconde la sua iniziale perplessità ad aprire un libro sul cibo, ruolo per lui insolito, è facile la trovare una ragione per mettersi a digitale i tasti e spiegare perché leggere questa guida sui generis. Scrive infatti: “Mi sono reso conto che, certo, se sono da solo, prendo la pizza sotto casa e non mi avventuro in un’esplorazione culinaria, ma non appena arrivo in un altro paese, prima ancora di visitare i musei o le chiese, faccio due cose: anzitutto cammino per le strade, cerco di perdermi in modo da girare a vuoto, a lungo, per vedere la gente, le vetrine, i colori delle case, sentire gli odori; e poi vado a cercare il cibo locale, perché senza l’esperienza del cibo non capirei il luogo in cui sono e il modo di pensare di chi vi abita”.